La guerra in atto in Ucraina, la cui imprevista escalation rischia di minacciare l’intero pianeta e il cui protagonista è uno dei nostri principali fornitori di gas naturale, non poteva non generare, in tempi brevi, effetti collaterali molto seri in un mondo globale e globalizzato.
Tuttavia, occorre anche dire che l’Italia non ha mai avuto una visione a lungo termine sui temi energetici, anzi non ha mai pianificato una politica energetica compiuta che avesse quanto meno due obiettivi strategici:
- abbassare il prezzo medio dell’energia e allineare il suo costo alla media europea;
- affrancarsi dalla dipendenza di altri paesi geopoliticamente critici, per quanto concerne la fornitura di materie prime strategiche quali il gas naturale.
Eppure, dopo il decreto Bersani del 1999 e la successiva liberalizzazione del mercato elettrico, si avevano grandi attese su una normalizzazione del prezzo dell’energia in uno scenario più competitivo; basta tuttavia vedere i prezzi finali dell’elettricità per l’industria in un anno significativo quale il 2019, per constatare che l’Italia nella UE detiene ahimè il triste primato del prezzo più alto (tra i 250 e i 300 €/MWh).
Dunque stavamo già male ancora prima della guerra, con un prezzo del gas che nel 2021 si è incrementato del 400% rispetto al 2020. Abbiamo installato tanta energia rinnovabile, cosa buona e giusta per favorire il processo di decarbonizzazione e la lotta ai cambiamenti climatici, seppur a spese di rilevanti incentivi che sono inevitabilmente ricaduti sulle tasche dei contribuenti, ma ciò, purtroppo, non ha risolto ancora i nostri problemi energetici e la guerra in corso lo ha confermato. Per il momento non possiamo ancora fare a meno delle fonti tradizionali, poiché sappiamo tutti che le rinnovabili sono fonti aleatorie e non programmabili e la loro interrompibilità deve essere coperta dalle centrali a gas naturale, almeno finché non sarà davvero maturo e competitivo lo storage (sistemi di accumulo a batterie). E questo ovviamente comporta dei costi per tenere in marcia, per poche ore l’anno, le centrali tradizionali a gas, allo scopo di sostenere, nelle ore di indisponibilità delle rinnovabili, il fabbisogno di energia.
Non a caso Terna, il gestore della rete nazionale, ha istituito un sistema di aste, ovvero il cosiddetto Capacity Market, al fine di avere garantita, attraverso un meccanismo di remunerazione nei confronti di coloro che si aggiudicano l’esito dell’asta, della capacità di potenza elettrica da centrali a gas necessaria ad evitare rischi di sicurezza nella gestione e nella regolazione della rete elettrica, in assenza o nelle ore di indisponibilità degli impianti da fonti rinnovabili (vedi il fotovoltaico). Adesso è arrivata la tempesta perfetta: a causa della guerra, rischiamo davvero di non avere quel gas che deve sostenere l’interrompibilità delle rinnovabili e la realizzazione della transizione energetica nel nostro Paese.
Per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione del PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima) al 2030 si stima sia necessaria realizzazione di nuovi impianti eolici e fotovoltaici per almeno 60 GW, diciamo circa 6 GW/anno, quando il trend di crescita negli ultimi anni è stato inferiore a 1GW/anno - mission impossible ad oggi, se non si attuano velocemente nuove riforme atte a semplificare l’iter autorizzativo e sburocratizzare le procedure  non solo per l’installazione di nuovi impianti, ma ancor più - cosa davvero incredibile - per il repowering di impianti rinnovabili già esistenti che, a parità di suolo impegnato, permettono di quadruplicare l’energia generata, grazie alle nuove tecnologie delle pale eoliche (oggi in Italia, in media, occorrono più di cinque anni per ottenere le autorizzazioni alla realizzazione di impianti eolici). Osservo infine che il venir meno degli incentivi, principale driver di crescita delle rinnovabili negli anni precedenti, è un altro elemento di ostacolo alla super-accelerazione di nuove rinnovabili, richiesta anche dagli scenari geopolitici sull’alto prezzo del gas emersi già prima della guerra, oggi divenuti più preoccupanti per la criticità di fornitura di questa risorsa.
Nella logica di dire sempre no a tutto, siamo anche riusciti a perdere la grande opportunità di realizzare in Sicilia due rigassificatori, uno a Porto Empedocle e uno a Priolo, per ragioni di grande miopia politico-istituzionale e ideologica. Oggi questi impianti di gas naturale liquefatto (LNG) ci avrebbero permesso di poter disporre di uno stoccaggio locale di metano, con i benefici conseguenti di avere gas disponibile in un’area molto energivora, sicuramente a prezzi più bassi e con approvvigionamenti meno dipendenti da un singolo paese, potendo utilizzare come mezzo di trasporto le gasiere.
Dunque la sfida è davvero ardua perché nel breve/medio termine non possiamo fare a meno del gas naturale, ma c’è il serio rischio, nell’immediato, di non disporne in quantità tali da poter contenere i relativi costi a valori sostenibili per la sopravvivenza delle imprese e della comunità .Â
E allora che facciamo? Come siamo soliti in Italia, nelle fasi di emergenza cercheremo di tirar fuori il meglio di noi stessi (forse?). È chiaro che in tempi brevi è difficile costruire rigassificatori o accelerare la realizzazione delle rinnovabili, tenuto conto dell’attuale trend di crescita delle nuove installazioni e delle lunghe e complesse procedure autorizzative che, seppur in via di semplificazione con l’attuazione di nuove riforme, richiederanno comunque, in fase transitoria, tempi per arrivare al ready to start di nuova capacità non compatibili con l’emergenza in corso. Dovremo ancora una volta affidarci agli aiuti e alle pastoie governative per abbassare i costi delle bollette e per individuare un piano a breve termine che cerchi di evitare il rischio di chiusura delle nostre imprese più energivore.
Sono già in allerta di blocco per forza maggiore anche gli auto-trasportatori, per i danni diretti conseguenti agli alti prezzi del gasolio e che, indirettamente, per i ritardi o addirittura la mancanza di fornitura di materiali di prima necessità , rischiano di compromettere la sopravvivenza di molte imprese. In ultimo, udite udite, dopo aver parlato tanto di phase-out (dismissione) del carbone, occorrerà nell’immediato sfruttare al massimo le centrali che abbiamo ancora in Italia, come soluzione tampone a breve termine, per compensare la riduzione di forniture del gas russo e sostenere il fabbisogno di energia ancora coperto da fonti fossili in alcuni settori delle industrie pesanti e, più in generale, quando le rinnovabili sono indisponibili.
Occorre altresì far fronte ai servizi ancillari di rete elettrica, in termini di regolazione di frequenza e di margini di riserva, ad oggi coperti dalle centrali a gas, essendo le rinnovabili per loro natura non programmabili e lo storage non ancora pienamente disponibile e competitivo per  soddisfare i suddetti servizi di rete. È chiaro che questo conferma quanto ho evidenziato in apertura: è mancata in Italia una politica energetica strategica di lungo termine, resiliente ai sempre più frequenti rischi globali, che ci rendesse più autonomi dalle forniture delle materie prime e più competitivi sui costi dell’energia.  Â
“Together we stand, divided we fall" cantavano i Pink Floyd negli anni '70.
È proprio vero, oggi più che mai è il momento dell’unità , della solidarietà , della vera cooperazione, di fare rete e di aiutarci vicendevolmente; together we stand è forte, dà proprio il senso di essere noi tutti, insieme forti, dritti, resilienti: in un mondo globale e globalizzato si può e si deve rispondere necessariamente con un approccio globale perché i rischi a cui siamo soggetti sono globali. Lo abbiamo sperimentato con la pandemia Covid-19 e lo dobbiamo mettere in atto sulla lotta ai cambiamenti climatici e sulla politica energetica, che richiedono urgentemente una visione d’insieme, una strategia comune e una governance internazionale.
Certamente va cambiato il mix energetico, occorre aumentare le estrazioni e mettere un tetto al prezzo del gas per evitare speculazioni e andare verso un mercato del gas comune, di concerto con gli altri paesi europei, rafforzando le intese e la co-governance tra le democrazie ancora illuminate del nostro pianeta, in un contesto di cooperazione, di maggiore unione politica ed economica sia globale che locale, partendo dalle città e da un maggiore coinvolgimento delle comunità locali nella governance amministrativa per arrivare a processi decisionali più partecipati e condivisi.
Tutto ciò purché siamo consapevoli che, come sosteneva Max Weber, è tempo di far valere l’etica delle responsabilità all’etica delle convinzioni, queste ultime spesso foriere di ideologie di cui oggi ne paghiamo le conseguenze.
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di Giancarlo Bellina
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