Il posto dello sguardo (puntoacapo Editrice, Pasturana AL, 2021) è forse un libro per pochi, ma che in realtà ci riguarda tutti. Primo perché si occupa di poesia, il che circoscrive molto il numero di coloro che sono veramente interessati e poi perché affronta il delicato, anzi delicatissimo, tema della poesia contemporanea a scuola, che vede da una parte una moltitudine tra apertamente contrari e indifferenti, nella convinzione che nulla di buono possa essere realizzato attraverso la parola, debole com’è nei confronti delle asprezze della vita vissuta; dall’altra parte, poi, una minoranza assai ristretta, dai quali ancora la poesia viene percepita come un’arte dalle straordinarie risorse e dal fascino immortale. Ancora più ristretta, la cerchia di coloro che attribuiscono un valore specifico alla poesia contemporanea, valore che potremmo definire, euristico e perciò anche intrigante e pervasivo. Eppure questo libro che si occupa di poesia contemporanea ci riguarda tutti, perché, come suggerisce il titolo, la poesia è esattamente il posto dove si posa lo sguardo, dove con libertà e semplicità il poeta vede quello di cui altri invece distrattamente non si avvedono.
La poesia è cioè la nostra stessa vita, poeticamente vissuta, cosa della quale ci rendiamo conto solo dopo che lo sguardo attento di qualcun’altro, il poeta, vi si è posato sopra e ha avuto l’amabilità di farci dono della propria visione, della propria riflessione, del proprio stupore. Con tutta la grazia di cui è capace: soffrendo per noi, gioendo assieme a noi. Si tratta pertanto — che lo si voglia credere oppure no — di una risorsa a tutti gli effetti, preziosa e inesauribile, data tante volte per spacciata, ma che raccoglie consensi pur senza generare clamore alcuno. Se non altro perché non è nello stile dei poeti la ricerca esasperata del sensazionale a tutti i costi. Se a questo punto la domanda che sorge spontanea è se vi siano poeti degni d’essere ascoltati al giorno d’oggi, la risposta è senz’altro affermativa e questo libro ne è la prova.
Ve ne sono anche molti di cui — più a torto che a ragione —, non vedremo mai il nome in un libro di storia della letteratura, non ne leggeremo mai i versi in una qualche antologia che abbia, per intenderci, il cliché dell’ufficialità. Difficile dire ora chi tra i poeti contemporanei resisterà al logorìo della vita moderna; chi sarà stato tanto parsimonioso da bene amministrare, per così dire, la consegna del Silenzio, facendo in maniera tale che le parole sfuggite alla sua sorveglianza — poche in verità — finiscano per associarsi in versi, strofe, autentica poesia. Ma soprattutto, è impossibile stabilire con ragionevole certezza se sarà proprio questo il criterio attraverso il quale la critica selezionerà le nuove generazioni di poeti.
Umiltà, serietà, abnegazione saranno ancora considerati le indispensabili fondamenta del lavoro per poeti e critici? Chi può dirlo: troppo difficoltoso il compito, troppo breve la vita. Ed è così che parafrasando l’agnosticismo del sofista Protagora si finisce per porre una questione tutt’altro che banale: per sapere chi meriti d’essere ascoltato occorre certo personalità, tempo e tanta pazienza da parte di critici e lettori; occorre conoscere tutte le voci che dal loro personale modo di essere e di fare si siano levate a interpretare il loro tempo, a soppesare il presente e a scrutare il futuro. Il che è indubbiamente un risultato di là da venire, fatto salvo l’impegno di taluni che proprio a queste scrupolose indagini dedicano una parte cospicua delle loro energie, salvo rimanere essi stessi drammaticamente isolati e inascoltati. Molto più semplice e socialmente gratificante per poeti e critici (specie se di carriera) non discostarsi mai dalla vulgata, piuttosto che correre il rischio in prima persona, affrontando sentieri poco battuti, confrontandosi con autori pressoché ignoti e di valore. Il posto dello sguardo è in questo senso più che un libro coraggioso: è un cantiere aperto e una visione del mondo (poetico) in divenire. Cosa della quale è perlomeno opportuno ringraziare — e per il lavoro svolto e per l’opportunità concessa —, la Casa editrice puntoacapo, i curatori e i contributori, residenti in varie regioni d’Italia e qualcuno dal proprio domicilio estero, e dei quali facciamo volentieri nomi e cognomi, aggiungendo altrettanto volentieri i titoli dei loro interventi: Sebastiano Aglieco (La poesia al tempo di Orfeo), Antonio Alleva (Lo sguardo sbilenco che mette e soqquadro), Corrado Bagnoli (Scuola e poesia: un’alleanza per la realtà), Luigi Cannillo (Verso la scuola: un circuito di poesia), Alessandro Carrera (La poesia non si legge, si incontra), Mauro Ferrari (Una riflessione ad ampio (forse troppo) spettro), Francesco Macciò (Memoria d’amore), Massimiliano Magnano (Il desiderio e l’impossibilità), Piero Marelli (La poesia a scuola), Elisabetta Motta (Nel mistero della parola: a scuola fra poesia e realtà), Riccardo Olivieri (Se la tua mano toccasse la mia), Alessandro Pertosa (Poesia in flusso. La lingua che scorre tra senso e realtà), Fabio Pusterla (Lo sciame dei tuoi pensieri), Emanuele Spano (La poesia come dialogo con le ombre. Una riflessione a margine sulla poesia contemporanea). Chiunque leggerà le pagine di questo libro si accorgerà come ciascuno dei contributori sia stato chiamato, da una parte, a riflettere sulla poesia contemporanea e sul ruolo che questa svolge, ma che soprattutto dovrebbe svolgere a scuola e attraverso la scuola nella società; dall’altra, a proporre il testo di un autore contemporaneo, associato alla lettura di uno proprio.
Se dunque — come peraltro vado di tanto in tanto ricordando — insegnare vuol dire propriamente lasciare il segno, è proprio sulla capacità di lasciare un segno indelebile nella vita di tanti giovani che bisogna interrogarsi; in maniera del tutto particolare quando si parla di scuola e di poesia a scuola.
Cito al riguardo l’esperienza a dir poco straordinaria di Sebastiano Aglieco, maestro alle elementari, poeta e critico letterario, che di segni ne ha lasciati e continua a lasciarne tanti. Sebastiano Aglieco è certamente un adulto significativo nella vita dei molti suoi allievi, di ieri e di oggi. Esperienza straordinaria e perlopiù ignorata, i cui esiti dovrebbero invece fare riflettere molti, se non proprio tutti — e non sembri affatto una superflua esagerazione —, dai colleghi dello stesso Aglieco, ai pedagogisti, allo stesso Ministro dell’Istruzione. Si tratta di una vera e propria rivoluzione, nella quale le produzioni poetiche di bambini, fin dalle prime classi delle elementari, non sono che l’esito finale di un percorso lungo e accidentato di accostamento alla poesia e nel quale gli alunni mostrano con quale consapevolezza, serietà e leggerezza affrontino un compito così alto e così denso di risvolti. Nel segno della relazione, è il caso di dire. Nel senso che non sia possibile insegnare e in maniera del tutto particolare insegnare a fare poesia se non facendosi relazione e, quindi, vita intensamente vissuta. Né, d’altra parte, è possibile imparare, senza fare relazione, ossia senza lasciare che questo mettersi in relazione lasci un segno nella propria vita. Occorre quindi farsi uno con l’altro, pur rimanendo rigorosamente distinti gli uni dagli altri. Si dovrà smettere una buona volta di fare finta di nulla di fronte all’evidenza, di fronte a conseguenze che sono così particolari e che sono altresì ampiamente osservabili e documentabili in generazioni di alunni di Aglieco, soprattutto in quelli ormai divenuti adulti. Non perché siano tutti diventati piccoli o grandi poeti (e magari con tanto di laurea!), ma certamente perché sono diventati uomini e donne più consapevoli di se stessi e della realtà (poetica) nella quale vivono e della quale sono divenuti avveduti interpreti e testimoni.
La seconda parte del libro non è meno importante e fuori dagli schemi rispetto a quanto non lo sia la prima. Ciascuno dei contributori ha proposto assieme al testo di un poeta attualmente in attività, un proprio testo. Con tutta la discrezione che questa operazione merita, ma anche con la giusta consapevolezza. Luigi Cannillo — per parlare ora di un’altra esperienza significativa, tra le altre — in questa seconda parte ci parla di sé, ossia della propria poesia e della poesia della compianta Annamaria De Pietro, che purtroppo ci ha lasciati nel mese di novembre del 2020. Cannillo approcciandosi a una poesia di questa poetessa, Pensiero in figura di serpente, esordisce affermando che non è necessario capire tutto di una poesia, magari non subito. E tuttavia, una parola, un verso possono essere illuminanti e avviare un processo che è al contempo di comprensione e di adesione, perché la poesia — come non ribadirlo — è vita ed è caratteristica della vita che prima che essere compresa, questa vada vissuta e vissuta fino in fondo. In un processo che mai si esaurisce, se non con la vita stessa. La poesia, dice ancora Cannillo, va letta, perché nonostante la si voglia trasformare a tutti i costi in prosa, è intimamente e immancabilmente ritmo e musicalità. A conclusione, poi, della propria poesia, Cannillo ci annuncia la volontà di «salire sull’albero più alto del giardino». E noi, in verità, non abbiamo motivo per non credere alle sue parole e anzi lo incoraggiamo e lo sosteniamo.
di Massimiliano Magnano
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