“La banda Brancati” (A & B Editrice 2021) è l’ultimo frutto dell’ingegno poliedrico e immaginifico dello scrittore Vladimir Di Prima. Al centro della vicenda romanzesca emerge come protagonista (e narratore) il simpatico Vladimiro, uno scrittore quarantenne di Zafferana Etnea, che alterna discese nella spirale oziosa dell’indolenza e gloriose risalite in vista di una futuribile gloria letteraria. Vladimiro è attratto dalla figura esemplare di Brancati, che a Zafferana Etnea villeggiava ed è ancora ricordato da molti anziani, e colleziona sapidi aneddoti su di lui e sulla sua banda di amici. Vladimiro stesso, d’altra parte, con le sue riflessioni insistenti intorno all’eterno femminino e i suoi requisiti da perdigiorno flâneur di provincia, di quella banda avrebbe potuto far parte.
Conversando con un amico critico gli confessa che medita di scrivere un libro sul rapporto tra lo scrittore e la cittadina etnea. L’amico mostra entusiasmo e lo invoglia ad andare avanti. Proprio quando questo proposito comincia a farsi strada nella sua mente e sta per diventare un progetto operativo, si affaccia nella sua vita una figura nuova che lo guiderà in un viaggio necessario e rivelatore.
Meditavi da tempo di scrivere un romanzo sul rapporto tra Brancati e Zafferana Etnea o l’idea ti è venuta all’improvviso?
Sono sempre stato affascinato dalla figura di Vitaliano Brancati probabilmente per il legame che lo scrittore aveva con il mio paese di origine. Decisiva però –devo confessarlo - è stata la spinta del mio caro amico Renzo Paris, il quale, in una delle nostre tante chiacchierate, mi incoraggiò alla scrittura di un romanzo che si annodasse in qualche modo alla figura dell’autore del Bell’Antonio.
Come si situa questo nuovo romanzo nella tua produzione narrativa?
Beh, per uno che è sempre insoddisfatto di ciò che scrive non può che essere un passaggio verso qualcosa che si auspica sempre migliore. La mia produzione narrativa, se così vogliamo definirla, è piuttosto istintiva e molto poco organica. Scrivo per suggestioni e non è mai facile; avrò bruciato almeno una trentina di storie che sulle prime promettevano d’essere capolavori, salvo poi spegnersi inesorabilmente al varco delle trenta cartelle. Pensare per poi costruire un romanzo è qualcosa di veramente complesso e faticosoe più passa il tempo più temo di non esserne capace.
Come hai costruito il protagonista narrante? Quanto si rispecchia in un personaggio brancatiano?
Tutti i personaggi dei miei romanzi nascono da un’esigenza di rivalsa. Non c’è costruzione, semmai identificazione prima e sublimazione poi. Nella fattispecie ho provocatoriamente sfidato lo scarto autobiografico dando al protagonista il mio stesso nome. Tutti allora penseranno che abbia voluto raccontare una vicenda personale o si inganneranno di tale proposito, ma siamo proprio sicuri che sia così o mi sono servito dell’espediente per sparigliare ulteriormente le carte? Sul fatto che il protagonista si rispecchi in un personaggio brancatiano non c’è alcun dubbio.
Com’è nato il personaggio di Virginia Cesti? E quale funzione ha nel romanzo? È una guida?
Virginia Cesti è quasi il parto di un anagramma che il lettore scoprirà soltanto alla fine del romanzo. È una donna dalle infinite possibilità, una donna che contiene tutte le età che infine coincidono con una figura senza tempo. Più che una guida è la faccia chiacchierata della coscienza umana, un bisogno, una necessità, un conforto irrinunciabile.
Ed Esterina? Figura di contorno o possibile coprotagonista?
Esterina probabilmente è il personaggio più letterario del romanzo non fosse altro per il rimando a Montale. Esterina cuce la sua esistenza intorno al bisogno di investigare le carte quasi fosse incapace o impreparata ad affrontare la vita. Tutte le sue giornate sono programmate in funzione di un responso, non importa se fasullo, ingannevole o fintamente veritiero. Il suo bisogno di illusione è superiore a qualsiasi dose di verità. Esterina è la figlia perfetta di un’epoca dove tutto ciò che succede è già successo.
Il protagonista si barcamena, nella sua ricerca della donna ideale, tra purezza e oscenità. Esprime l’attuale disorientamento maschile nel comprendere l’evoluzione delle donne reali?
Nulla esiste all’infuori dell’immaginazione, sembra ammonire tra le righe il protagonista. Ed è proprio nell’immaginazione, nella dicotomia fra purezza e oscenità, che Vladimiro costruisce i propri amori, ora puri come la soffice piuma di una giovane palombella, ora sozzi come le lenzuola di una stamberga. Il fatto è che questa dualità non gli consente di vivere appieno, cioè in maniera totalizzante, il rapporto con una donna. O troppo puttana o troppo santa: il protagonista non trova la via di mezzo. E se ne danna.
Zafferana Etnea, luogo d’elezione o gabbia da cui è impossibile scappare?
Zafferana, ma in generale l’Etna, è un ergastolo che di elettivo possiede probabilmente solo l’illusione di pensarlo tale per rendere meno amara la condanna. Mai però simile condanna conserva il sapore dolcissimo dell’infanzia.
L’erotismo è l’arte dell’imprevedibilità? In che senso?
L’Eros è la forza oscura che muove l’universo. Sarà retorica di costume ma senza, il settanta percento, forse anche di più, delle attività umane verrebbe ridimensionato se non annullato. L’Eros è necessario all’arte, per esempio, perché rappresenta lo stimolo principale. E deve essere costantemente spiazzante, appunto imprevedibile. L’erotismo che diventa abitudine scade nella noia.
Quanto può contribuire la noia nell’atto creativo?
La noia non contribuisce a nulla; la noia è devastante, è un cancro silente che quando decide di sferrare il colpo di grazia ha già distrutto ogni cellula del corpo. La noia è l’anticamera della depressione e una persona depressa non è affatto creativa. Allora, come scrivo nel romanzo, con la noia bisogna farci a botte; rischiare di farsi sopraffare potrebbe diventare fatale col tempo.
Il romanzo è anche la narrazione di un pellegrinaggio brancatiano con le sue piccole soste in luoghi reali ma anche simbolici?
Personalmente sono legatissimo al territorio etneo. Con questo romanzo il tentativo è stato quello di voler esportare le bellezze dei luoghi per cercare di incuriosire i lettori che vivono altrove. L’Etna con la sua collana di piccoli paesini rappresenta la mia tana, un posto dove mi sento al sicuro e attingo energia creativa.
La realtà è accettabile solo in quanto può essere trasfigurata attraverso il sogno e la fantasia?
Da qualche tempo comincio a schierarmi dalla parte di chi sostiene l’inesistenza del reale. Anche il sogno può essere inaccettabile, bisogna sempre considerare la prospettiva dalla quale lo osserviamo. La fantasia può avere tutto a che vedere con la realtà, a patto che non si cada nell’inganno delle vite altrui.
Vladimir e/o Vladimiro?
Sempre il primo, o ancora meglio Vladi. L’italianizzazione dell’onomastica straniera mi ha sempre infastidito perché la trovo banale. La banalità è piuttosto un discorso di massa. Vladimiro funziona bene solo come personaggio di un romanzo. Vladimiro, per esempio, sogna la grande editoria, il libro che gli consenta di sfondare; Vladimir invece è un vitellone spaiato che oggi si permette pure di fare il gesto dell’ombrello a tutti, profondamente consapevole che la serietà non è prendersi sul serio, ma proseguire con coerenza un percorso dove quello che chiamano successo non è il traguardo. Del resto ditemi voi: da un punto lontano dell’universo chi sarebbe capace di scorgere una sontuosa pila di libri o il proprio nome in bocca alle signore raffinate dei salottini letterari? Nessuno può dirsi meritevole o vantarsi del proprio talento: il talento è un caso, un incidente. Nulla ci è dovuto. Allora mi fanno davvero ridere quegli scrittori che pontificano dal trono innalzato ai loro piedi come fossero entità aliene e immortali. Si guardassero ogni tanto allo specchio capirebbero senz’altro quanta poca differenza passa fra i loro visi e quello che potrebbero oscenamente mostrare abbassando i pantaloni.
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