Organizzato dal Lions Club Eurialo Siracusa, l’incontro “Il caso Shakespeare”, sviscerando i contenuti del romanzo “Shakespeare Aenigma. La prima incarnazione di John Florio” di Stefano Reali (Florestano edizioni), ha messo in discussione l’identità del letterato inglese le cui origini sarebbero siciliane. Nella magnificenza dell’Ortea Palace erano presenti, tra gli altri: il presidente del suddetto Lions Club, Antonio Gallo, che, nel porgere i saluti, ha mostrato il suo apprezzamento per l’elevata caratura dell’incontro; la presidente del comitato Cultura, Elvira Siringo, che ha anche moderato i lavori; il relatore, Stefano Reali, autore del libro e personaggio eclettico, l’attore, Carmelo Cannavò.
Elvira Siringo, ha sottolineato la valenza dell’incontro quale apripista di una serie di attività che il comitato si propone di realizzare nell’anno lionistico 2024-2025: «A fondamento del nostro operato – ha detto – intendiamo porre la cultura, vero volano per la crescita della società».
La stessa poi, prima di dare la parola allo scrittore di Frosinone, formatosi al conservatorio, ha ricordato alcuni dei suoi preziosi trascorsi: assistente alla regia in “C’era una volta in America” di Sergio Leone; docente di acting for the camera nel laboratorio di arti sceniche diretto da Gigi Proietti; sceneggiatore e regista, insieme a Pino Quartullo, di Exit, cortometraggio tratto da un racconto di Luigi Malerba e prodotto dalla Rai; nel 1988 candidato al David di Donatello come miglior regista esordiente.
Ha preso la parola, poi, Stefano Reali, il quale ha ritenuto che Shakespeare fosse in realtà John Florio, figlio dell’erudito calvinista, Michelangelo, che, nel ‘500-600 quando l’Inquisizione colpiva i sostenitori di credenze eretiche in tutta Europa, scappò dalla città di Messina e andò a rifugiarsi a Londra, dove l’apparato repressivo allestito dalla Chiesa non allungava i suoi tentacoli. John Florio, nato a Londra, da madre inglese, e di formazione culturale tipicamente rinascimentale, frequentò l’università a soli 14 anni e fu anche interprete di Giordano Bruno quando lo stesso insegnava nell’ateneo di Oxford. Proprio su consiglio di questi, tradusse novelle di luminari, come Aretino, e allestì dei drammi che non poté firmare per non attirarsi l’astio dei drammaturghi inglesi.
Firmò dunque le sue opere con lo pseudonimo di Shakespeare, ossia dell’impresario teatrale, che avrebbe ultimato soltanto la scuola dell’obbligo, e che non avrebbe potuto, tra l’altro, conoscere la toponomastica delle città italiane dove furono ambientate le opere: “Molto rumore per nulla” a Messina; “Il mercante” a Venezia; “Romeo e Giulietta” a Verona; "La bisbetica domata” a Padova. John Florio, inoltre, vista l’esiguità dei vocaboli inglesi di allora – 8.000 – fu l’artefice di numerosissimi neologismi, arricchendo quindi anche l’assetto linguistico. La serata si è conclusa con l’esibizione di Stefano Reali al pianoforte e una performance teatrale di Carmelo Cannavò sulle opere di Shakespeare o meglio di John Florio.
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