In una serata ricca di emozioni e lunghi applausi si è svolto ieri il debutto di Fedra (Ippolito portatore di corone) di Euripide per la regia di Paul Curran, che ha visto un altro record di presenze di pubblico, fra personalità cittadine, turisti e i tantissimi studenti, accorsi per assistere alla messa in scena del seconda tragedia, nella traduzione di Nicola Crocetti, alla 59° Stagione di Rappresentazioni classiche al Teatro Greco di Siracusa. Oggi, domenica 12, dalle 09.00, si è svolta invece l'inaugurazione della XXVIII edizione del Festival Internazionale del Teatro Classico dei Giovani a Palazzolo Acreide, con oltre 2mila studenti da tutta Europa, per esibirsi, fino al 4 giugno, sul palco del Teatro di Akrai.
Come affermato in precedenza dal regista Curran: «L’antica narrazione di Fedra riecheggia con sorprendente attualità nel contesto odierno. Questa storia senza tempo fa luce sulle ansie contemporanee legate alla salute mentale e sui pericoli derivanti da ossessioni malsane e incontrollabili». Ed è proprio così. Se volessimo sintetizzare, potremmo dire che le tre parole chiave di questa tragedia sono: LEALTÀ - VERITÀ - ONORE, in un contesto dove il ruolo della donna e il valore della giustizia la fanno da padrone.
Ma partiamo dal principio. La scena è dominata dalla grande testa bianca di una dea alta sei metri, che nel corso dello spettacolo cambia faccia, grazie anche un bellissimo gioco di video mapping, attraverso il quale si racconta ciò che in scena non può essere mostrato. Ad aprire la narrazione la dea Afrodite (la bellissima Ilaria Genatiempo), che sin da subito mostra la sua avversione per Ippolito (il giovane Riccardo Livermore), che ha osato offendere lei e il suo culto, affermando di non credere nell’amore né nell’onestà delle donne, e preferendole Artemide la dea della Caccia e simbolo di purezza e rettitudine.
Allo stesso tempo, dopo la falsa notizia della presunta morte di Teseo, Fedra (interpretata da Alessandra Salamida) viene colpita dal dardo di Amore e, per volere di Afrodite, si consuma nel suo sentimento taciuto nei confronti del figliastro. Ella afferma che è destino degli uomini soffrire e che «Una cosa soltanto è preferibile alla vita: conservare uh animo retto a giusto!» preferendo perciò soffrire in silenzio piuttosto che arrecare offesa al letto matrimoniale e agli Dei. Ma dietro l’insistenza delle donne e della nutrice (una bravissima Gaia Aprea), Fedra rivela loro il suo segreto segnando, così, la sua fine. Esse decidono, infatti, di aiutare la giovane padrona, per far sì che anche Ippolito possa innamorarsi di lei, ma dopo avere parlato con lui e avergli fatto giurare silenzio davanti agli Dei, Ippolito, deridendola e respingendola, non solo rifiuta Fedra, ma sottolinea come le donne siano infide e inutili per l’uomo, di quanto sia preferibile una donna stupida che una intelligente, perché quest’ultima è decisamente più pericolosa e, infine, che l’unica vita possibile è quella retta e giusta, professata dal culto di Artemide. Tutto è compiuto: Fedra si allontana dalle donne e decide di porre fine alla sua vita impiccandosi, ma prima di fare ciò lascia uno scritto, che accusa Ippolito di averle usato violenza e avere violato il letto del padre.
Improvvisamente fa ritorno Teseo (un mirabile Alessandro Albertin, la cui interpretazione riporta, finalmente, il tono poetico della tragedia in scena) che viene subito informato dei fatti e, senza fare alcuna verifica, si convince della veridicità delle parole di Fedra, provocando la morte di Ippolito, prima condannandolo all’esilio, poi malendicendolo. La casa di Teseo è segnata dalla sventura. In pochi attimi si consuma anche la seconda disgrazia della storia, che vede Ippolito protagonista di una violenta manifestazione divina, che lo condurrà alla morte.
Dopo un inizio stentato e in un gioco di verità nascoste, vendette e rincorse alla giustizia, la messa in scena di Fedra coinvolge emotivamente tutto il pubblico e si guadagna ben 10 minuti di calorosi applausi. È chiaramente un successo. Una menzione d’onore va fatta all’interpretazione di Giovanna Di Rauso e Marcello Gravina, nei panni rispettivamente della dea Artemide e del messaggero. Bellissimi anche i costumi delle Corifee e del coro di donne di Trezene. Ultima menzione d’onore va all’INDA, che quest’anno ha deciso di rendere il giusto omaggio alle maestranze coinvolte nella realizzazione degli spettacoli, facendo godere anche loro del calore del pubblico in scena. Chapeau!
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