Il convegno di studi “Radici”, svoltosi nei locali del museo “Nunzio Bruno” a Floridia, è divenuto occasione per scandagliare il nostro dialetto e ricostruire l’identità siciliana, minacciata, dall’imperante inglese, che anche altre realtà profana.
A porgere i saluti sono stati gli organizzatori del convegno, Maria Serena Spada, assessore alla Cultura del Comune di Floridia, e Cetty Bruno, direttrice del suddetto museo. Entrambe, nel manifestare la propria soddisfazione per la bontà dell’evento e lo spessore dei relatori, hanno evidenziato come la buona riuscita delle varie attività organizzate sia frutto di un consolidato sistema di rete.
Giuseppe Implatini, esperto nella catalogazione dei Beni D.E.A della Soprintendenza, ha evidenziato che, nonostante dall’Unità d’Italia, l’italiano sia la lingua nazionale, e dunque, deputata ad esprimere il concetto, di fatto, il siciliano così come gli altri dialetti siano il registro linguistico degli affetti.
Salvo Sequenzia, semiologo, si è soffermato sulla “Lingua lippusa. La lingua siciliana come iper-lingua.” Già Dante, nel suo De Vulgari Eloquenzia, ha detto, attribuisce dignità di lingua al volgare italiano, nella fattispecie dialetto siciliano, definendolo: illustre, curiale, cardinale e aulico.
Il volgare siciliano, inoltre, è una lingua molto prestigiosa, visto che lo stesso Dante identifica nella scuola federiciana il primo esempio di scuola poetica in Italia. Il siciliano, dunque, non solo non è un dialetto, ma una lingua e, addirittura, iperlingua.
Corrado Di Pietro, etnoantropologo, ha posto la sua attenzione su: Malamùri. Le parole che cantano. Malamùri, che proviene da malo e amore e che può assumere quali significati quelli di cattivo umore o amore malato, ha detto, è la cifra distintiva dei poeti romantici e decadenti, i quali avevano una concezione malinconica della vita. Malamùri è anche il titolo di una canzone di Olivia Sellerio, lu malamuri ca t’arrivota e annagghia l’ali, alliscia li penni e supra ‘a cuda jetta lu sali, nonché di un film del 2016.
Mario Lonero, etnoantropologo, si è soffermato su: Spartenza. Parole di addii, parole dei carrettieri.
Poiché l’italiano, a causa dell’invadenza dell’inglese, sta diventando un dialetto europeo, ha esordito, occorre valorizzare i dialetti e, in particolare, vista la sua storia, quello siciliano. Non solo il siciliano è ricco di vocaboli, ma anche di gerghi, negli ambiti che attengono soprattutto all’agricoltura e al mestiere di carrettiere.
Paolino Uccello, etnoantropologo, si è concentrato sul Cuntu. Parole che evocano, guariscono e che salvano. Il cuntu, preceduto sempre da un aneddoto, ha premesso, costituiva motivo di riunione della famiglia e di incontro per un’intera comunità. Tra i personaggi che popolavano i cunti, figurava quello di mamma Rabecca la cui ipotizzata presenza serviva a vietare ai bambini di aggirarsi nei pressi di una grotta o di una cisterna.
Ad arricchire il convegno di studi sono state le letture sceniche di Maria Lucia Riccioli e di Maria Burgio, la cui passione per il siciliano è il frutto di un amore per le usanze e di tanta dedizione, nonché i “Curamuni”, un duo la cui musica popolare, connubio tra canzone d’autore e tradizione, è un viaggio nella Sicilia terra di emozioni.
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