«Che ne è di Vulcano a petto di Roberts e Co., di Giove di fronte al parafulmine, di Ermete di fronte al Crédit mobilier? Ogni mitologia vince, domina e plasma le forze della natura nell’immaginazione e mediante l’immaginazione: essa scompare quindi allorché si giunge al dominio effettivo su quelle forze».
Così Marx, nella chiusa dei Grundrisse (1.4.1).
Dalla Teogonia di Esiodo a La scomparsa dei riti del filosofo Byung-Chul Han, docente alla Universität der Künste a Berlino e successore alla cattedra che fu di Martin Heiddegger a Friburgo, passando per il Tramonto degli idoli di Plutarco, La Nascita della tragedia di Nietzsche e gli studi di Coseriu e di Eliade, si può ben comprendere che ogni discorso sul mito diviene mito esso stesso attraverso il rito, ovvero mediante la ‘ripetizione dell’identico’.
Deleuze, tuttavia, in Differenza e ripetizione ci ha spiegato che «[…] Ciò che si ripete non è l'identico ma l'identico è il ripetersi di ciò che si ripete: la differenza». Detto in altre parole, la ripetizione vestita non è nient'altro che il ripetersi della differenza che ritorna e può ritornare solo nell'atto di differire da sé stessa.
Non indugio sui risvolti sociologici né sul dibattito da Strapaese e Stracittà che ha imperversato in ogni dove a proposito della ‘consegna’ del ‘salotto buono’ della città di Siracusa e di alcune sue sacre dépendances a D&G per celebrare il decennale dal primo lancio di Haute Couture della Maison. Il fatto è fatto, ormai. Et omnia valde bona erant.
Il mito ionio non frequentava Siracusa almeno dai tempi in cui il professore Rosario La Ciura lo vide affiorare dalle acque di Punta Izzo, nei pressi di Augusta, in una assolata giornata d’estate, sotto le sembianze di una sirena. L’epifania del prodigio si rivela tra le pagine di Lighea, il bellissimo racconto di Giuseppe Tomasi di Lampedusa nato da una suggestione colta dallo scrittore de Il Gattopardo negli anni della leva militare, durante un soggiorno nella villa degli amici Carobene, situata proprio a Punta Izzo.
Ci sono luoghi che appartengono al mito e a nessun altro, luoghi svincolati dal resto, dove nessuno ha giurisdizione se non chi ha il potere di suscitare il mito attraverso il rito e rivelarlo al mondo, proprio come ha fatto Tomasi di Lampedusa con Lighea. E come hanno fatto Dolce & Gabbana a Siracusa, in tre giorni nei quali hanno suscitato il mito ionio in luoghi – piazza Duomo, Grotta dei Cordari, Plemmirio, Marzamemi – tra i più belli e ‘sacri’ del pianeta dove il mito abita da tempo immemore, sin da quando per la prima volta fu suscitato e narrato.
Nel decennale del concepimento della linea di Haute Couture a Taormina, altro luogo ‘sacro’, D&G hanno voluto rendere omaggio a quella Klassizität intuita e teorizzata nel 1798 sulla rivista Athenaeum da scrittori, poeti e filosofi della scuola Jena e che Goethe assumerà come tensione e ispirazione per la sua vita e la sua opera: «qui [ in Sicilia, N.d.R.] è la chiave di tutto».
Per svelare il mito ionio, durante questo evento D&G hanno usato il loro linguaggio, il loro stile, la propria grammatica, ibridando e mescidando tecniche, materiali, suggestioni, visioni in una reflexion di colta raffinatezza e in un gioco di rispecchiamenti tra soggetti e oggetti rappresentati, il “mondo interiore” del viaggio e del ritorno e quello esteriore della ricerca espressiva, in un incessante movimento di forme cangianti: un omaggio alla contaminazione di civiltà e di culture che attraversano i secoli e di cui si sono imbibiti questi luoghi.
Giuliano Peparini, gran regista e coreografo dell’evento, non ha realizzato un mera sfilata di moda o una piatta esposizione di gioielli e di preziosi design degni di una Wunderkammer: ha, invece, perseguito il disegno di uno ‘spettacolo totale’, alla maniera del grande coreografo napoletano Salvatore Viganò, precursore della Gesamtkunstwerk - l’idea di ‘opera d’arte totale’ degli Espressionisti tedeschi - e memore della lezione di Luca Ronconi e di Peter Brook, in sintonia con la recente teorizzazione di Alessandro Michele – Art Director della Maison Gucci – nelle sue lezioni ad Harvard, della moda come epifania del rito.
In un contesto di fatuità e di incantagioni, il linguaggio dell’effimero della moda ha colto un frammento di eternità realizzando una sapiente poikilia in cui le culture, gli stili, il sacro e il profano, le ierofanie e le lampadaforie, le raffinate citazioni dalla musica e dalle arti visive, le rievocazioni del contesto naturalistico ed etno-antropologico – la coppola e il fico d’india, la processione religiosa e l’abbagliante deflagrazione del Sole nero - si sono trasformati in ‘abiti’ calati su luoghi, saperi, corpi ed oggetti trasformati in un prodigium di eleganza e di bellezza senza tempo.
D&G hanno riportato il mito al suo luogo originario affermandone nella ripetizione di segni, simboli e gesti il valore esclusivo e senza tempo, nel superamento di ogni moda, di ogni pensiero, di ogni ideologia. L’evento di D&G ha plasmato il mito ionio e le sue scaturigini trasformandoli in un prodotto di eccezionale valore planetario che avrà, indubbiamente, ricadute ed effetti positivi sul territorio.
«Sono Lighea, sono figlia di Calliope. Non credere alle favole inventate su di noi: non uccidiamo nessuno, amiamo soltanto» (Tomasi di Lampedusa, Lighea).
Tutto il resto - quanto è stato detto, scritto, agitato accanto all’evento – conserviamolo accanto alle più belle pagine di Giovannino Guareschi.
di Salvo Sequenzia
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