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“FAME D’ARIA”, LA CUPOLA DEL CIELO NON È SEMPRE AVARA

2023-01-30 16:28

Lucia Corsale

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“FAME D’ARIA”, LA CUPOLA DEL CIELO NON È SEMPRE AVARA

Lo spettacolo  “Fame d’aria” - la Shoah raccontata ai ragazzi – svoltosi  al teatro Planet Vasquez, è un alito di salvezza,  tra le piaghe di un dolor

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Lo spettacolo  “Fame d’aria” - la Shoah raccontata ai ragazzi – svoltosi  al teatro Planet Vasquez, è un alito di salvezza,  tra le piaghe di un dolore cupo che, alzando i toni, si è fatto dirupo.

Alla performance, per la regia e la drammaturgia di Tatiana Alescio che ha anche calcato la scena assieme a Mary Accolla e ad Aurora Trovatello e che ha visto Valeria Annino e Beatrice Trovatello nello staff tecnico, hanno assistito in più turni gli studenti degli istituti scolastici: Chindemi, Martoglio,  Costanzo, Archia, Giaracà, Insolera, Corbino ed Einaudi accompagnati  da alcuni insegnanti.

Il “fatto” datato 1943 è stato rappresentato in una scabra cornice evocativa di Auschwitz: un pagliericcio di legno a tre piani destinato al riposo di chi  ha perduto la dignità, tra gli orrori della guerra e la pretesa capziosa di superiorità; un filo spinato che è una barriera tra l’infamia dell’uomo e un Dio che sembra essersene dimenticato.

A fare da contraltare c’è una scrivania, al chiaro della luce, dolce è il riparo, tra le parole stroncate che  Anna Frank (Aurora Trovatello) ricuce. A denudare l’anima senza più colore è Francesca (Mary Accolla) una ex musicista di violino, uno strumento che ama quasi come Mario, il suo bambino. Un tempo, era stata felice, non avrebbe chiesto altro alla vita, ma il passato è passato, e il presente a nessuno si addice. Tra i rigori del freddo e i morsi della fame – rape e ortiche a colazione - in fondo c’è un po’ di calore, “siamo noi che bruciamo”, la soluzione finale dei corpi andati in combustione. “Le malattie e le infezioni sono all’ordine del giorno, le coperte sono covi di cimici, dormiamo ammassati”, su 24 ore, 12 le spezzano ai lavori forzati. Lì, nella fabbrica di morte, dove la sete graffia la gola e l’urina, a volte, è bevanda che consola, c’è anche Jolie Gauthier (Tatiana Alescio),   che con un arrotare di “r” e un’aristocrazia ostentata, si concede un ballo, l’ufficiale è immaginario, la musica mai l’ha abbandonata. E, poi, c’è la voce fuori campo: ”Achtung! – il suono, questa volta,   è duro e aspro -  durante il tragitto per andare a lavorare, dovrete cantare in tedesco. Una zuppa calda vi aspetta al rientro: un litro per quattro persone“.

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Nessun riferimento alla mancanza di stoviglie,  alla brodaglia, alle mani che rastrellano in  un unico secchio, alla vita calpestata che riduce in bestie e che ormai è all’ultima fermata. Alla fine dello spettacolo, a cui è seguito un ampio dibattito, la regista, Tatiana Alescio, ha raccontato agli studenti  delle travagliate fasi che hanno preceduto la stesura del testo messo nero su bianco dopo un’approfondita disamina di documenti e un esame di coscienza sull’opportunità o meno di trasporre quei drammatici contenuti. Ma la pregnanza della parola ha imboccato la strada e sotto l’azzurro del cielo brilla la felicità, aspettiamo il domani, sarà certo più leggero.

 

 

©riproduzione riservata 

Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Siracusa. Numero di iscrizione 01/10 del 4 gennaio 2010

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