Il concept della mostra Crowned Idols – Idoli Incoronati, inaugurata il 26 marzo al Museo Archeologico Regionale "P. Orsi" di Siracusa, nasce sotto il segno dei Mille plateaux (Deleuze-Guattari 1980) e del "third space" (Babha 1994), mettendo in luce il carattere dinamico e relazionale dei processi estetici, cioè l’originale configurazione di significati, di senso e di emozioni cui le opere d’arte possono dare luogo quando si incontrano in uno "spazio terzo", neutro, anche quando esse risultano espressione di civiltà cronologicamente e culturalmente lontane e di visioni del mondo diverse.
Curata dal critico Demetrio Paparoni per il contemporaneo e dall’archeologa classica Anita Crispino per l’antico, la mostra mette in dialogo una conosciutissima statuetta in marmo della varietà Spedos, risalente all’Antico Cicladico (2800-2300 a.C.) proveniente dal museo di arte cicladica di Atene, con una imponente installazione della giovane artista portoghese Joana Vasconcelos, dal titolo Crowned Idols, e con altre statue femminili appartenenti alla collezione del Museo siracusano.
L’interazione fra culture radicalmente diverse, la pluralità e la simultaneità degli elementi in gioco - che esclude l’idea di uno schema riduttivamente “binario“ - la lontananza e l'eterogeneità delle opere, cui fa da contrappeso la folgorante pregnanza con cui esse entrano in relazione, senza tuttavia implicare l’idea di una semplice convergenza, costituiscono una “poetica delle relazione“ fondata, essenzialmente, sull’etnos. Sia la statuetta cicladica, infatti, sia le sculture femminili poste a corona dello spazio espositivo, sia l’installazione dell’artista portoghese – considerata una delle più apprezzate e influenti artiste contemporanee - sono una espressione dell’etnos che le qualifica e le caratterizza, sulla linea di quanto teorizzato dall’ultimo Warburg nel Rituale del serpente (1988).
Infatti, la lettura e il percorso interpretativo proposti dai curatori assumono il Mediterraneo non solo come un’area geografica ma come un vero e proprio Atlante della Memoria, presupposto culturale per un processo “persistente“ di contaminazioni culturali ed antropologiche che, a partire dalle più antiche testimonianze, giunge sino ai nostri giorni in una complessa rete di implicazioni e di declinazioni, di affinità e di divergenze che si compongono in un originale palinsesto di contaminazioni: una dimensione fluttuante sempre attiva e inter-agente tra identità e alterità.
In questa dimensione fluttuante - che si configura come spazio etnico – l’essenzialità formale della statuetta clicadica entra in risonanza con l’esuberanza neobarocca dell’installazione di Joana Vasconcelos e con la raffinata cifra stilistica delle altre statue.
Entro tale prospettiva la contemporaneità si dà come risultato di un processo in cui l’eco del passato non è morta voce, ma nomos attualizzante.
Le opere che si svelano agli occhi dei visitatori sono forme espressive con cui l’artista ha rappresentato le tensioni e le forze contraddittorie che agitano il vivente, per dare forma sia alla singolarità della sua visione che alla realtà in cui è immerso.
L’attenzione dei curatori per i punti di rottura, per gli anacronismi, per il complesso gioco di spostamenti e di avvicinamenti, di differenze e ripetizioni che siglano la narrazione espositiva – le sopravvivenze e gli oblii – costituiscono, dunque, un liquido amniotico vivo e fecondo che non alimenta esclusivamente gli oggetti d’arte ma, significativamente, anche le tensioni, le analogie, i contrasti e le contraddizioni che la mostra chiama in causa nel suo metodo e nella sua istanza epistemologica.
L’etnos in Crowned Idols è declinato come icona femminile e materna, spazio di creazione e di rigenerazione che, dal femminile, procede di forma in forma avvolgendo plasticamente il mondo, come metaforicamente allude l’installazione della Vasconcelos nell’atto del suo liquido, materno abbraccio all’idolo cicladico che è come protetto nel ventre dell’opera.
In quanto promanazione del femminile e del materno, una forte matericità impregna la narrazione della mostra. La materia è la sostanza primaria che l’artista - homo faber – ha davanti a sé per comunicare al mondo. Il marmo, l’incisione, i tessuti, i decori, le applicazioni, i pigmenti diventano signum del facere e del perficere: del realizzare (facere) e dell’esprimere realizzando (perficere).
La mostra non nasce, perciò, come un semplice confronto tra antico e contemporaneo; essa, piuttosto, si pone ai visitatori come momento di incontro tra esperienze “totali“ del “fare arte“. Non si tratta, tuttavia, di una totalità armoniosa ed esclusiva, ma di una totalità inclusiva, paradossalmente permeabile, in quanto intessuta di irriducibili differenze che assumono la veste della frattura e della contrapposizione, dell’intreccio, dell’attrazione e della convivenza per dare vita a un'ammirabile dissonanza.
Crowned Idols è una mostra che interroga e che si interroga, che pone problemi e nella quale vige una domanda: «Come essere se stessi senza chiudersi agli altri e come aprirsi agli altri senza perdere se stessi?» (Glissant 2019).
È, questa, la domanda del pensiero nomade che attraversa i territori del mondo globale.
È in questa domanda che identità e alterità non si pongono come polarità opposte, in conflitto, ma come focus di un discorso su ciò che è comune e ciò che è diverso. La parola alterità deriva dal latino alter – “diverso“ - in riferimento alla “differenza“ che si innesta tra due entità. L’idea di alterità si oppone all’idea di identità, la quale definisce un’entità attraverso qualità e caratteristiche comuni e differenti.
Ma il discorso su ciò che è comune e su ciò che è differente crea uno spazio “neutro“ in cui può accadere la possibilità dell’incontro. Quella dell’incontro propiziato dall’arte è una possibilità meravigliosa, perché inaugurale. L’incontro propiziato dall’arte e con l’arte inaugura, infatti, nel tempo della Storia la dimensione della speranza, che l’arte si porta dentro “geneticamente“, dal suo concepimento al suo realizzarsi, nel suo farsi e nel suo de-cidersi come idea, progetto, invenzione.
In tal senso, Crowned idols è anche un mostra che racconta la speranza di cui il nostro mondo si nutre e di cui ha bisogno, oggi più che mai. Non è soltanto un mostra, ma anche un “evento assoluto“, in quanto irripetibile per contingenze e per possibilità scaturite dal lavoro di istituzioni internazionali, di professionalità e di talenti eccezionali ed erratici.
Questo evento è dato dall’incontro di opere d’arte - espressioni di sensibilità, genio, civiltà, culture fra loro lontane nello spazio e nel tempo – che si sono individuate in un dato momento storico, in un luogo scelto per le sue peculiarità e la sua storia – Siracusa - grazie alla convergenza e al lavoro di progettualità plurime, sintoniche e “rizomatiche“, che hanno concepito una idea “istituente“. In questo darsi come evento irripetibile e assoluto, nel concepimento di questa mostra si intuisce una funzione speculativa riconosciuta eminentemente alla musica: la manifestazione di un pensiero “dell’istante” per cui la realtà si dà solo nella sua instabilità, nel suo flusso, nelle sue mutazioni incessanti, secondo configurazioni sempre nuove e sfuggenti di senso e di forme. Il carattere proteiforme e polifonico dell’installazione di Joana Vasconcelos esprime, in tal senso, questa modalità musicale intrinseca al percorso espositivo, di cui l’antico costituisce una immensa, ineffabile “pausa di eternità“.
La memoria dell’etnos, l’incontro della materia e delle forme, il divenire dell’arte nel suo rapporto con l’identità e l’alterità. Sono, questi, alcuni tra i grandi temi che urgono oggi nella riflessione sulla contemporaneità e che la bellissima mostra di Demetrio Paparoni è riuscita a tessere in modo meraviglioso, misterioso ed empatico all’interno della sua narrazione.
‘The Crowned idol – Idoli Incoronati’, a cura di Anita Crispino e Demetrio Paparoni.
Museo Archeologico Regionale ‘Paolo Orsi’, Siracusa, dal 26 marzo al 26 luglio 2022.
di Salvo Sequenzia
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