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Tradizioni siciliane: il Carnevale di Melilli

2022-02-24 16:33

Redazione

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Tradizioni siciliane: il Carnevale di Melilli

Una tradizione antica e che per secoli ha portato gioia e colori per le strade della cittadina iblea di Melilli

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Ppi Sammastianu a maschira ‘nchianu: questo antico detto popolare, comune a molte comunità del siracusano, chiudeva il lungo periodo dell’attesa e dava inizio al periodo di trasgressione carnevalesca.

L’etimologia della parola Carnevale deriverebbe da Carni Levamen (sollievo alla carne), intesa come libertà agli istinti alimentari, e dunque sinonimo di periodo di sregolatezza e orgiastico. Infatti nel periodo di carnevale c’è un riscontro di eccessi alimentari e sessuali, che sembrano assumere la pura funzione di valvola di sfogo per l’istintività repressa negli altri mesi dell’anno (Cfr. Cattabiani, Calendario).

Nella cultura agropastorale, il carnevale era il tempo della trasgressione e del rovesciamento dei ruoli sociali, che caratterizzavano la società negli altri mesi dell’anno. Così si dava sfogo al Caos sociale che permetteva a tutti un cambio di ruoli, che in altri tempi non sarebbe stato possibile attuare. La realizzazione di tale cambiamento era data dal travestimento, che rappresentava l’occasione per entrare impunemente nelle abitazioni e, per un tempo limitato, permettersi di raggiungere ciò che la rigidezza dei costumi e la severità delle leggi non avrebbero mai consentito.

Questo era il tempo del Semel in anno licet insanire (Seneca), parentesi disordinata e caotica inserita nello scorrere ordinato del tempo.

Nei secoli passati, il periodo carnascialesco durava diverse settimane, era u ioviri rassu o lardaloru (il giovedì grasso) il momento in cui si entrava nel vivo dei festeggiamenti che si concludevano il martedì successivo (martedì di carnevale, appunto).

I due giovedì precedenti erano detti "u ioviri de’ cummari" (giovedì delle comari) e "u ioviri do zuppiddu" (giovedì dello zoppo), nel quale veniva impersonificato uno dei diavoli della tradizione popolare siciliana. Altro elemento caratterizzante il carnevale siciliano del tempo passato era la messa in scena del processo al Re Burlone che si concludeva con la condanna al rogo del fantoccio rigorosamente entro la mezzanotte, perché l’indomani era il mercoledì delle ceneri, che dava inizio alla Quaresima, tempo di penitenza, digiuno e astinenza.

Dalla sera del 20 gennaio, dunque, dopo la conclusione dei festeggiamenti a San Sebastiano (Santo molto venerato in tutti i paesi del siracusano), vi era il tempo delle maschere carnascialesche buffe che cominciavano a girare per le strade, creando un clima burlesco che si sarebbe concluso poi con le Ceneri.

Solo a Melilli l’avvio del tempo carnevalesco era rinviato al successivo 27 gennaio, giorno della conclusione dei festeggiamenti al Santo Patrono, quando, dopo la tradizionale Cunsarbata, finalmente si potevano incontrare per le vie del paese le prime maschere che davano inizio al tanto atteso periodo di sfrenata allegria.

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Melilli vanta una lunghissima tradizione del carnevale che è stata tramandata di generazione in generazione fino ai nostri giorni. Si fa già cenno a questa festa nel 1853, a proposito di disordini scoppiati in occasione del carnevale e per i quali vennero additati come provocatori i giovani liberali melillesi. I quell'occasione infatti, in una riservatissima del 15 maggio 1853 indirizzata al Principe di Satriano, il giudice supplente di Melilli, Don Giovanni David, scriveva: «Bastar potrebbero per la pruova del complotto immorale… li fatti accaduti nello scorso carnevale» (Cfr. S. Crescimanno, Biografia di F. Crescimanno).

I festeggiamenti del carnevale si protraevano fino a tarda notte e spesso sfociavano in disordini che impegnavano duramente la forza pubblica, tanto da costringere le diverse Amministrazioni pro tempore a stanziare in bilancio una somma atta «A protrarre l’illuminazione oltre l’orario prescritto nella ricorrenza della festa di Carnevale, affin di dare maggior aggio agli agenti di P.S. di sorvegliare il paese» (Del. Cons. Com. del 1890. In P. Magnano, I riti della Pasqua a Melilli).

Questo annuale appuntamento nella società contadina, (svoltosi con queste modalità almeno fino agli anni Cinquanta del secolo scorso) in ogni paese aveva il suo momento centrale nella scanna del maiale. A tal proposito un vecchio proverbio recitava: Pri cannaluvari si sfa lu maiali.

La macellazione del maiale avveniva il tardo pomeriggio del mercoledì grasso. In ogni casa si sentivano i grugniti dell'animale che, legato con robuste funi, veniva disteso a terra mentre il macellaio, col coltello fra i denti, premeva un ginocchio sulla pancia prima di lanciare il colpo fatale (Cfr. S. Crescimanno, Il porco in carnevale). La macellazione del maiale provocava molta confusione fra i presenti perché ognuno, subito dopo, cominciava a svolgere il compito che gli era stato assegnato: c’era chi spelava, chi squartava, chi lavava e chi faceva a pezzi le visceri fumanti e c’era anche chi agitava continuamente con un legno il sangue per non farlo coagulare, per poter fare il sanguinaccio (un salsicciotto bollito che conteneva le budella più grosse del maiale nelle quali veniva insaccato il sangue misto a latte, cervello, mandorle abbrustolite, uva passa, pepe e sale).

La cerimonia di ammazzamento del maiale era un rito di espiazione collettiva e premessa di passaggio dal caos al cosmos (Cfr. L. Lombardo, Il Carnevale in provincia di Siracusa). Questo rito, che fra l’altro interessava molte famiglie anche del vicinato, si concludeva con una grande abbuffata di carne e maccheroni fatti in casa che, una volta cotti, venivano depositati nna maitra (nella madia) e conditi col sugo della carne di maiale. Tutti i presenti, all’impiedi o seduti sui furrizzi (sedie in legno senza spalliera), mangiavano con le mani. «Era un allegro scendere e salire di mani che s’affondavano senza forchetta tra i maccheroni, un grufolar di musi e musini, un agitare spasmodico di mandibole, un’orgia di allegria» (Cfr, S. Crescimanno, cit.)

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Dopo la grande abbuffata in molte case si cominciava a ballare al suono di organetti e tamburelli e, negli anni successivi, al suono del pianino o del grammofono.

Era il momento degli schiamazzi, della baldoria e dell’allegria. Al ballo partecipavano anche persone mascherate che entravano nelle case aperte all’accoglienza con voci contraffate per non farsi riconoscere. Al tempo ognuno si mascherava in modo da rappresentare perfettamente il rovescio della professione o mestiere che esercitava: lo speziale, il medico, l’avvocato indossavano l’abito del pastore o del contadino; la signora quello della ciociara romana o della massaia siciliana; l’agricoltore quello del medico o del barone. Le maschere più ricorrenti erano quelle che rappresentavano il contadino, la massaia, il medico, il barone, il pecoraio o l’agricoltore, il frate cappuccino, il pagliaccio, il diavolo, lo stregone.

Nel 1936, poi, nacquero le prime comitive e con esse il primo carro allegorico "Vivere. Non si muore mai", allestito dalla comitiva A Someggiata.

Tuttavia lo scoppio della guerra abbissina, che mobilitò, ancora una volta, molti giovani melillesi che lasciarono il paese natìo per raggiungere l’Africa, e il successivo secondo conflitto mondiale interruppero forzatamente questa lunga tradizione, che stentò a ripartire a causa dei lutti e delle distruzioni provocate dalle guerre e dai bombardamenti aeronavali che avevano distrutto il centro storico di Melilli.

La svolta si ebbe a partire dal 1957, anno in cui l’amministrazione comunale, guidata dall'allora sindaco avv. Vittorio Augeri, stanziò la somma di 145.000 delle vecchie lire, che sarebbe stata ripartita come premio da attribuire ai carri allegorici e ai gruppi mascherati a seconda della classifica stilata da una commissione all’uopo nominata dalla stessa amministrazione. Grazie a questa prima iniziativa, le successive amministrazioni hanno continuato ad incrementare le somme da assegnare sia ai carri che alle molte comitive di gruppi in maschera. In questo modo il carnevale di Melilli ha raggiunto importanti traguardi che lo rendono, tutt'oggi, uno dei più belli della Sicilia.

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Migliaia di persone, infatti, ogni anno, raggiungono la cittadina iblea per ammirare le sfilate dei gruppi in maschera e dei carri allegorici, che creano un lungo serpentone di colori e di allegria, che si snoda lungo la Via Iblea (arteria principale del centro storico). Purtroppo, a causa del Covid, da due anni a questa parte non viene festeggiato il carnevale ma, se non ci saranno contrattempi, nel 2022 il carnevale di Melilli dovrebbe svolgersi nella prima decade di luglio.

La bellezza e la particolarità dei costumi, la varietà dei colori, la ricercatezza dei temi trattati, nei gruppi in maschera, mettono in evidenza la bravura e la maestrìa degli artigiani della sartoria locale, capaci di trasformare stoffe anonime in abiti unici e particolari.

I carri allegorici, allestiti da veri artisti del ferro e della cartapesta, per la bellezza delle figure e la spettacolarità dell’insieme, nonché per la vivacità dei colori, il gioco delle luci e i temi trattati possono sicuramente gareggiare, senza alcun timore riverenziale, con quelli dei centri più rinomati e conosciuti d’Italia.

 

 

 

di Paolo Magnano

©riproduzione riservata 

Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Siracusa. Numero di iscrizione 01/10 del 4 gennaio 2010

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