Ricorre quest’anno il centesimo anniversario della nascita dell’archeologo francese Georges Vallet, che nacque a Pierreclos, nel Dipartimento di Sarne e Loire (Macon), regione della Borgogna, il 4 marzo 1922.
Vallet si formò culturalmente alla Scuola Superiore di Parigi, dove si laureò in lettere. Dopo gli studi a Lione e a Parigi (Sorbonne, Ecole Normale Supérieure) vinse diversi concorsi universitari.
Nel 1948, per la prima volta, soggiornò in Italia, quale Membre de l’Ecole francaise de Rome (Istituto di Archeologia e di Storia francese).
Il suo nome è legato alla scoperta e allo studio di Megara Hyblaea, la colonia greca fondata, nella seconda metà dell’VIII sec. a.C. dai coloni megaresi dell’ecista Lamis morto a Thapsos. La tomba dell’ecista greco fu probabilmente scoperta da Giuseppe Voza, nel corso di una campagna di scavi condotta a Thapsos. Infatti, in quella stagione di indagini archeologiche venne trovata dal Soprintendente di Siracusa una tomba isolata contente coppe greche databili alla fondazione di Megara, l’importante colonia, che sorge a ridosso del mare nel golfo di Augusta, descritta minuziosamente dallo storico greco Tucidide, secondo il quale: «Lamis approdò da Megara in Sicilia alla guida di coloni megaresi e a settentrione del fiume Pantachio fondò una cittadina dandole nome Trotilo. Più tardi passò di là a Leontinoi dove, per un breve periodo, divise con i Calcidesi la direzione politica di quella colonia. Scacciato dai Calcidesi, fondò Tapso e venne a morte, mentre i suoi, espulsi da Tapso, eressero Megara denominata Iblea, poiché il re dei Siculi Iblone aveva loro concesso la terra, anzi ve li aveva condotti di persona. E per duecentoquarantacinque anni fu la loro sede, finchè Gelone tiranno di Siracusa li espulse dalla città e dal suo contado» (Tucidide, Guerra del Peloponneso).
Fu, dunque, Iblone re delle alture di Pantalica, a concedere ai Megaresi (provenienti dalla Grecia), che erano stati scacciati da altri colonizzatori greci, una striscia di terra nella pianura sottostante i colli iblei su cui fondare la loro città, alla quale gli stessi coloni greci diedero il nome Hyblaea. Fu questa particolareggiata descrizione di Tucidide (che Vallet amava molto), ma anche la nuova filosofia di indagine archeologica che si andava delineando in quel periodo storico (basata non più sulla conoscenza di templi, monumenti ed edifici regi, ma sugli uomini e sulla conoscenza della loro vita economica, sociale e culturale) a spingere gli archeologi francesi a ricercare siti che fossero in grado, per la loro particolare caratteristica, di dare risposte ai loro interrogativi.
Il progetto degli archeologi d’oltralpe di esplorare il sito archeologico della colonia megarese nasceva dalla necessità di ricercare città che presentassero caratteristiche nuove e diverse da quei siti esplorati e conosciuti fino ad allora, ma soprattutto che avessero mantenuto nei secoli le strutture urbanistiche originarie, senza aver subito modifiche nel reticolo urbano e, dunque, sociale.
Negli anni seguenti il secondo conflitto mondiale, infatti, nel mondo della ricerca scientifica e archeologica «Si cominciava a parlare di Villes nouvelles, di città fondate ex nihilo, create senza condizionamenti, con una spartizione democratica delle terre partendo dalla quale si evidenziassero, poi, quelle differenze che scaturiscono proprio dalla primitiva eguaglianza» (G. Bongiorno, Una vita per la Sicilia).
Con questi fondamentali interrogativi, a cui era necessario dare risposte certe, Vallet raggiunse la Sicilia nel 1949, anno cruciale per Megara Iblea, in quanto l’industriale milanese Angelo Moratti cominciava (proprio a ridosso del sito archeologico) la costruzione della Rasiom-Raffineria siciliana oli minerali, contro la quale l'archeologo avrebbe combattuto, durante la prima fase dell’industrializzazione, assieme ai Soprintendenti pro tempore, per salvare l’importantissimo sito archeologico. E vi riuscì! Infatti oggi Megara Iblea è conosciuta in tutto il mondo ed è visitata da moltissimi turisti e studiosi di archeologia greca.
L’avventura Megara iniziò, però, grazie all’intuizione dell’allora soprintendente di Siracusa prof. Luigi Bernabò Brea, che gli suggerì quel sito archeologico, poiché era convinto che «La colonia greca rappresentasse quella città dove la continuità dell’abitato durante i secoli non impediva di scovare e ritrovare quello che non sarebbe stato disperso o distrutto» (J. Nobècourt, Un archeologo nel suo tempo. Georges Vallet).
Era proprio il sito che cercavano gli archeologi dell’Ecole Francaise, primo fra tutti Vallet, poiché sull’arcaica struttura della città di Megara non erano sorte altre città che avessero potuto stravolgere l’originario impianto urbanistico, sociale, economico e culturale.
Fu un’equipe archeologica di altissimo livello specialistico e culturale, ma anche umano composta da Georges Vallet, Francois Villard (esperto in ceramica greca) e Paul Auberson (esperto in architettura classica), ad iniziare e continuare poi l’esplorazione di Megara, che avrebbe portato, nel tempo, a risultati ritenuti talmente eccezionali da essere pubblicati nelle maggiori riviste specialistiche di archeologia del mondo.
A tal proposito Salvatore Ranno, stretto collaboratore di Vallet per quarant’anni, ricordava: «La grande gioia provata nel lontano 1963 quando nel corso di uno dei tanti scavi (si facevano normalmente ad aprile e settembre) trovai un ripostiglio ben conservato con moltissime monete d’argento che consegnai immediatamente a Villard e Vallet. E ancora quando trovammo molte monete di bronzo, adesso conservate al museo» (P. Magnano, Quando ritrovammo Megara Hyblaea).
Questi archeologi, all’inizio, lavorarono in condizioni ambientali difficilissime, che riuscirono a superare grazie all’entusiasmo per la ricerca e all’attesa per i risultati delle scoperte che non tardarono a concretizzarsi. Fu soprattutto il tratto umano a caratterizzare i rapporti dell’archeologo francese con gli operai e braccianti melillesi, rapporti che nel tempo si trasformarono in sincera e reciproca amicizia, che si sarebbe conslidata nonostante si trattasse di persone di cultura diversa. Infatti Vallet, che rimase a Megara fino all’età della pensione, non fu soltanto l’archeologo francese sceso in Sicilia alla scoperta della colonia fondata dai Megaresi, ma fu innanzitutto l’uomo che fraternizzava con gli operai (contadini che non avevano mai lavorato in scavi archeologici, dei quali sconoscevano l’esistenza), che gli confidavano i loro problemi e con i quali condivideva tutto.
Il particolare tratto umano dell’archeologo francese venne sottolineato successivamente da Ranno che affermò: «Di Vallet posso dire che era un uomo buono, sempre pronto e disponibile con noi operai» (P. Magnano, cit.). Vallet era, infatti, l’uomo che amava la Sicilia, capace di condividere con loro i disagi di dormire sotto le stelle e in ambienti di fortuna. «Certo erano anni difficili: si dormiva nel vecchio faro abbandonato dalla Marina Militare, non c’era luce, né acqua, né tantomeno infissi, che venivano sostituiti con lunghe tavole per ripararci dalle intemperie» (Ibidem).
Condivideva anche quei pasti frugali a base di pane, olive, cipolle, che i “suoi” operai gli offrivano nella pausa pranzo: «La giornata di lavoro cominciava alle 7 per essere interrotta a mezzogiorno con un pranzo frugale di pane, formaggio e olive. Di sera si cenava con un piatto di pasta e un uovo» (Ibidem).
Lo stesso Vallet descrisse gli anni più duri del periodo iniziale: «Ho un ricordo preciso delle nostre colazioni in estate che consistevano in cipolle, pane e acqua, quest’ultima il sacrificio più duro per me. La spesa della settimana ci era portata dagli operai, come facevano per loro stessi, in una vecchia borsa di cuoio, e il pane in un fazzoletto a quadrettini» (J. Nobècourt, cit.).
Fra l’altro, l'archeologo francese si fece carico dei disagi sopportati dagli operai, sottolineando che erano le prime vittime dell’organizzazione stagionale degli scavi, in quanto dovevano lavorare in pieno mese d’agosto, sotto il caldo sole siciliano, senza un filo di ombra: «All’alba arrivavano a piedi dal vicino paese di Melilli sulle colline e risalivano a piedi la sera» (P. Magnano, G. Vallet, L’archeologo, l’uomo, il cittadino di Melilli).
Vallet era anche l’uomo che condivideva le ansie e le frustrazioni che gli stessi operai gli manifestavano a causa dei cambiamenti generazionali che coinvolgevano i loro figli e mettevano a rischio il loro mondo contadino.
Fu siciliano di adozione, uomo nobile, innamorato della Sicilia e di Megara, uomo che sapeva infondere entusiasmo e amore per l’archeologia; uomo che lottò per conservare la nostra storia antica, riuscendo nel proprio intento.
L’archeologo francese amò sempre Megara e gli uomini della nostra terra. A tal proposito affermerò più tardi: «Una delle ragioni della mia lunga permanenza, oltre a una grande tenerezza per gli uomini e per le cose di questo paese, viene precisamente dal fatto che abbiamo mantenuto le problematiche che avevamo deciso all’inizio» (P. Magnano, cit.).
Per i grandi meriti conseguiti nel campo dell’archeologia, a Georges Vallet (direttore dell’Istituto Francese, del Centro Jean Berard di Napoli, della Scuola francese di Roma e del Centre National de la Ricerche Scientifique, Accademico dei Lincei e di Francia, Accademico di Palermo, Membre de l’Ecole francaise de Roma) fu conferita la cittadinanza onoraria di Melilli. Il Consiglio Comunale, con delibera n. 273 del 5/11/1985, all’unanimità conferì all’illustre archeologo francese la cittadinanza onoraria della città di Melilli con la seguente motivazione: “per l’opera svolta e che svolge nel nostro territorio, da lui conosciuto in ogni particolare storico, geografico e sociale, per restituire alla memoria, comprensibile in tutti i suoi aspetti, Megara Hyblaea, alla quale noi melillesi ricolleghiamo le nostre origini storiche”.
Oggi, a distanza di ventotto anni dalla sua scomparsa (avvenuta il 29 marzo 1994), l’opera, la figura e il ricordo di questo grande archeologo sono sempre presenti nella memoria di tanti cittadini di Melilli che non solo hanno avuto la fortuna di conoscerlo, ma anche di apprezzarne le doti culturali e umane, attraverso i suoi scritti. Per questo, in occasione dei cento anni dalla nascita, spetta adesso all’Amministrazione Comunale ricordare la figura di questo grande studioso, archeologo e uomo, che ha dato così grande lustro alla cittadina iblea.
di Paolo Magnano
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