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Gli intellettuali fascisti e la Russia rivoluzionaria

2021-11-22 15:47

Mario Blancato

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Gli intellettuali fascisti e la Russia rivoluzionaria

Il 1° conflitto mondiale tra fascismi e URSS

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Nel bellissimo libro di Eric Hobsbawn, (The short Century 1914-1991) viene analizzato il crollo dell’impero zarista di Nicola II Romanov e l’irrompere della rivoluzione bolscevica come reazione alla guerra imperialista del I° Conflitto Mondiale. Il tentativo di governare quella società, feudale, arretrata culturalmente ed economicamente, senza diritti sociali e senza alcuna tutela giuridica per trasformarla in una società aperta, con diritti individuali e collettivi, con un’economia accentrata nella mani di un governo popolare, al servizio dei bisogni del popolo, suscitò in Occidente il plauso e l’entusiasmo di milioni di individui, organizzato in partiti e sindacati, che aspettavano con speranza la fine del capitalismo senza regole e l’avvento di una nuova società, basata sulla giustizia sociale e sull’eguaglianza.

In Italia, milioni di operai, di braccianti, di semplici cittadini, videro nella Russia rivoluzionaria l’incubatore di una nuova società basata non sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, ma il regno della giustizia e dell’uguaglianza. Un regno che aveva certamente bisogno del sostegno mondiale di tutti i proletari. Al grido di “facciamo come in Russia” si mobilitarono le masse sfruttate di tutto il mondo civilizzato ed industrializzato.

I più interessati furono, naturalmente, gli intellettuali, i quali si sentirono coinvolti, catturati dal resoconto di uno scrittore eccezionale come John Reed, (I dieci giorni che sconvolsero il mondo, 1919; Ten Days that Shook the World), e fin dai primi racconti sulla rivoluzione, avvertirono il bisogno di verificare di persona lo svolgimento di un percorso, mai immaginato.

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I primi a partire furono certamente gli inviati speciali delle grandi testate giornalistiche americane ed europee, accompagnati da fotografi e da interpreti, seguiti da delegazioni commerciali, non appena finì la guerra civile tra rossi e bianchi. Guglielmo Pannunzio fu uno di questi pionieri, che promosse una serie di campagne giornalistiche in favore delle politiche sovietiche. Ma va ricordato che la rappresentanza maggiore tra i viaggiatori di quel primo periodo era costituita da migliaia di appartenenti alla classe operaia e contadina, che, abbacinata dal miraggio della dittatura del proletariato ed entusiasta di prendere parte alla costruzione del primo stato socialista del mondo, con la speranza di una sua propagazione anche nel mondo occidentale, andavano a rimpolpare le fila di lavoratori decisi a mettersi a disposizione come forza lavoro nelle fattorie collettive  e nelle fabbriche sovietiche.

Tuttavia, La ripresa dei contatti diplomatici tra L’Italia e la Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS) avvenne solo nel 1924, sette anni dopo lo scoppio della Rivoluzione d’Ottobre.

I primi giornalisti, che ebbero un qualche ruolo nel fare conoscere ai lettori italiani qualcosa di questa nuova entità misteriosa ed esotica chiamata patria del socialismo reale furono Salvatore Aponte, inviato dal Corriere della sera, e Roberto Suster, inviato dal Secolo d’Italia, allora diretto da Arnaldo Mussolini. Quest’ultimo era molto bravo nel fornire indicazioni di carattere commerciale ed economico, e ad orientare meglio gli investitori italiani nell’Unione.

Il giudizio del fascismo sulla rivoluzione rimase ambiguo fino agli anni trenta, quando poi prevalse una forte componente ideologica, che portò all’alleanza con la Germania nazista. Ma fino agli anni trenta c’erano fascisti che in silenzio parteggiavano per i rivoluzionari russi, perchè si sentivano antiborghesi e anti-capitalisti e scambiarono Stalin per fascista (R. Suster per esempio, nel volume Ai margini dell’Europa, 1928). Ettore Lo Gatto, studioso di letteratura russa, che da borghese dagli occhi aperti e da avversario del bolscevismo, come si definì lui stesso, colse la novità dei piani quinquennali, che avrebbero azzerato le condizioni per un mercato libero, e si sforzò di comprendere la rivoluzione come risultato di una rottura nella società russa. Egli fu il primo a studiare con analisi corrette, da storico serio, il grande cambiamento prodotto dal piano quinquennale, che rompeva con la politica del libero mercato introdotto dalla NEP (la Nuova Politica Economica voluta da Lenin).

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Curzio Malaparte era uno dei più illustri intellettuali, che sostenevano con convinzione il regime di Benito Mussolini. Egli visitò la Russia nel 1929, scrisse L’intelligenza di Lenin, 1930, in cui da fascista esaltato dava un’interpretazione sua personale e, diremmo, sui generis. Trattava Lenin come un rivoluzionario, che aveva fatto terra bruciata dei principi del 1789, aveva rotto l’obiettività borghese ed aveva formato una vera società moderna, come il fascismo rivoluzionario e antiborghese, cui egli apparteneva. I bolscevichi erano l’incarnazione dell’animo del popolo russo, come il fascismo era l’incarnazione dello spirito del popolo italiano. Così «il leninismo non era altro che l’adattamento della teoria di K. Marx alla natura del popolo russo». Insomma nella visione di Malaparte il gemello della rivoluzione d’Ottobre era senz’altro il fascismo che, come è noto, distrusse tutte le libertà ‘borghesi’. Cominciarono allora quelli che vennero chiamati i pellegrinaggi politici (Paul Hollander). La maggior parte dei giornalisti, che partirono per Mosca, in quegli anni si sentivano motivati, perchè pensavano di andare in un paese, che come il loro, fascista, stesse realizzando un’altra forma di creazione di mondo nuovo. Insomma, c’era in essi il desiderio di capire la rivoluzione, così come veniva letta dal governo fascista di Mussolini. Significava in sostanza: evitare di fare stupide critiche distruttive e non fare apparire il fascismo alla stessa stregua dei sistemi capitalistici, borghesi e reazionari. Il tentativo del fascismo, insomma, era quello di rilevare i fattori di identità e di eterogeneità tra le due rivoluzioni.

I fascisti che andarono in Russia erano in genere intellettuali, che avevano discusso e avevano aderito al regime con la convinzione di essere in presenza di un decadimento dell’Europa borghese, come civiltà fondata sulla cultura individualistica. Spesso questi fascisti, almeno nei primi tempi, erano convinti di trovare nella Rivoluzione d’Ottobre, nei tratti familiari del bolscevismo, il fratello naturale di Curzio Malaparte, oppure il fratello antagonista di Italo Balbo, oppure il fratello gemello di Renzo Bertoni. Videro in sostanza nel bolscevismo la premessa arcaica, da cui era derivato il fascismo come progenie moderna e ingentilita, per usare le parole del Petracchi. E così molto fascisti si convinsero che l’uomo nuovo era in qualche modo nato, forgiato al mito del sacrificio.

Purtroppo la politica religiosa seguita dal PCUS innescò una forte inversione di tendenza, soprattutto nei ceti che erano influenzati dalla pratica religiosa. Il piano quinquennale dell’ateismo, con la spoliazione delle chiese, con la loro distruzione, con l’asportazione delle campane per produrre metalli da fusione, con la chiusura dei conventi e dei seminari sia ortodossi che cattolici impressionò profondamente l’opinione pubblica, e mise in moto un meccanismo che fece svegliare antichi dèmoni: la vecchia contrapposizione tra socialisti e conservatori, tra laici e fedeli, tra atei e praticanti.

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A questo punto si pose fine al dibattito su Mosca e Roma, concludendo nel 1934: contrapposizione netta tra Roma (mondo dello spirito) e Russia (mondo della materia). Infatti, altri giornalisti fascisti che partirono per Mosca, capovolsero il ragionamento di Malaparte. Tra questi (Francesco Lanza, inviato da Il Tevere; Corrado Sofia, inviato da La Stampa; Guido Puccio, che scrisse un libro di memorie) mi limito al riscontro di Ugo D’Andrea (Giornale d’Italia): «posto dinnanzi alla logica di Lenin, la mia logica rimane la confortevole logica borghese, dinnanzi al nuovo mondo dell’uomo-folla, dell’uomo-macchina, dell’individuo-collettività, mondo asiatico o mondo americano che sia, il mio mondo rimane europeo, rimane italiano, rimane fascista».

Uno di questi fascisti esaltati fu senz’altro Renzo Bertoni (Trionfo del fascismo, 1937), che partì in Russia senza alcun pregiudizio; anzi egli pensava che fascismo e comunismo fossero distanti solo nella metodologia ma che avevano progetti ed obiettivi comuni. «Chiamatemi pure o fascista o comunista. Io non mi offendo» - soleva dire. Alla fine del viaggio si convinse invece che i due regimi avevano obiettivi e programmi totalmente antitetici, perchè uno rappresentava lo spirito e l’altro la materia pura, anche se riconosceva con onestà intellettuale che i russi avevano costruito il loro piano quinquennale con grandi sacrifici e con grandissima solerzia. Solo il corporativismo avrebbe salvato la Russia, era la conclusione di un ragionamento sincero, ma offuscato dalla pretesa superiorità del modello fascista.

Il mito dell’URSS tuttavia non venne intaccato né dalle grandi purghe né dalla zoppicante economia, né tanto meno dal clima di terrore che si respirava nelle strade de di Mosca o di Leningrado. Anzi, la partecipazione al secondo conflitto mondiale diede una particolare aureola di eroismo alla resistenza sovietica dinnanzi al tentativo della Wehrmacht di penetrare dentro la fortezza della Unione Sovietica. Stalin fu celebrato come padre dei proletari di tutto il mondo, perché aveva fermato le armate tedesche ed aveva inferto un colpo mortale alle aspirazioni di Lebensraum (spazio vitale) verso est di Hitler. Così negli anni ’50 l’Unione Sovietica, nonostante le asprezze del clima di guerra fredda, incoraggiò verso l’indipendenza la maggiore parte delle antiche colonie occidentali dell’Asia e dell’Africa, le quali nel giro di qualche decennio diventarono tutte repubbliche indipendenti ed autonome.

In questo clima, e soprattutto con il clima del disgelo politico di Nikita Krushëv, i viaggi nel cuore del sistema sovietico diventarono molto più intensi e più ricchi per la cultura e la conoscenza dei popoli. Ma questa è un’altra storia.

 

 

 

©riproduzione riservata 

Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Siracusa. Numero di iscrizione 01/10 del 4 gennaio 2010

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