Lo splendore del niente e altre storie (Sellerio 2020), il nuovo libro di Maria Attanasio, pur raccogliendo sette diversi racconti si presenta come un corpus coerente per tematiche e per personaggi. Delinea, nella polifonia delle voci e delle storie, un romanzo sul Settecento tra “microstoria e grande storia, coazione sociale e bisogno di libertà”, con protagoniste delle figure di siciliane ribelli e combattenti.
Come buona parte della narrativa di Maria Attanasio anche questi testi prendono spunto da eventi e personaggi storici. Ma all’autrice non preme raccontare la grande storia arcinota dei cosiddetti grandi uomini e delle classi dominanti. Dice Montale che “la storia non è poi / la devastante ruspa che si dice. / Lascia sottopassaggi, cripte, buche / e nascondigli…” Maria Attanasio prende il lato costruttivo delle parole del poeta ligure e in quelle buche, in quei nascondigli va a scovare le sue storie indimenticabili, quasi dimenticate. Quali storie? Quelle delle vittime del potere. Si tratta quasi sempre di donne, delle quali, in genere, si accenna in trafiletti di polverose cronache locali. A partire, a volte solo da brevi cenni, l’autrice ricostruisce il vissuto quotidiano, i pensieri e i sentimenti di questi personaggi, trasfondendovi esistenza, dignità e, quindi, vita.
Il suo certosino intento è quello di far emergere episodi di un’antistoria (o, come si diceva una volta, di una controstoria) emancipati dall’esito fatale della sconfitta. Il suo obiettivo è quello di sfatare il luogo comune, insito in una “lettura tutta nobiltà e latifondo”, di una gattopardiana Sicilia sempre uguale a se stessa. Si afferma la necessità di sottrarre al silenzio, al “denso rimosso delle epoche”, la storia della Sicilia, e in particolare di Caltagirone, cercando nel passato esempi di riscatto, di resistenza, piccoli gesti di libertà e farli rivivere attraverso la narrazione.
In Delle fiamme, dell’amore si narra “la lacrimevole sciagura” della moglie del maestro carpentero che muore tra le fiamme della baracca di legno, costruita dopo il terremoto del 1693, per salvare la vita al marito invalido; In Correva l’anno 1698 e nella città avvenne il fatto memorabile si propone la storia di Francisca, una giovane popolana, che, morto il marito per il morso di una vipera, ed avendo davanti a sé la prospettiva della miseria o della prostituzione, decide di travestirsi da uomo per poter lavorare nei campi e guadagnarsi da vivere. Una volta scoperta, la donna finisce davanti al tribunale dell’Inquisizione, accusata di stregoneria. Per fortuna un inquisitore magnanimo e di larghe vedute e tollerante la assolve. Con “Correva l’anno”, la sua prima opera narrativa, Maria Attanasio, come dice Vincenzo Consolo, “ha voluto solo tracciare con delicatezza e poesia, il preludio, orchestrare il tema principale”, curando di non sporcare con la propria “onniscienza immaginativa” la purezza documentaria, già di per sé fabulatoria dell’evento memorabile della storia di Francisca che, per necessità, da donna si era fatta uomo. Il racconto si muove all’interno di una “materia saggistica che assume i modi del racconto”. Ne La donna pittora la protagonista è Annarcangela, una giovane pittrice epilettica, che, restaurando un crocefisso miracolosamente ritrovato, si “riconosce” nella figura femminile penitente ai piedi della Croce. Lo splendore del niente è il racconto centrale. Quello che dà il titolo all’intera raccolta. In questo testo emerge in modo prepotente la figura della nobile Ignazia Perremuto, una giovane donna anticonformista che rifiuta le vanità femminili e i privilegi ed i rituali della sua casta, sentendo il bisogno di sottrarsi al mondo. Con queste parole, che anticipano i tempi dell’emancipazione femminile, si conclude una lettera indirizzata ad un nobile ufficiale tedesco che è innamorato di lei: “Il corpo in ceppi, libera la mente: non servo alcun, né d’altri son che mia”. I gatti dell’isola nomade è un magnifico apologo, a lieto fine, sulle capricciose violenze perpetrate dal governatore (più realista del re) di Procida nei confronti dei gatti, rei di disturbare la caccia del sovrano. Il testo potrebbe essere uno straordinario soggetto per un film ed aspetta solo sceneggiatore, regista e produttore. Dell’arcano liquore ed altri odori getta una nuova luce sul famigerato personaggio della “vecchia dell’aceto”, al secolo Giovanna Bonanno, che, con modica spesa e sicuro successo, aiutava le donne, che richiedevano i suoi servigi, a liberarsi di ingombranti mariti. La raccolta si conclude con un piccolo gioiello narrativo: Morte per acqua. In questo breve racconto, attraverso un punto di vista straniato, si percorre il breve viaggio di Levia, una cavalletta, dal Meridione d’Italia alla Parigi rivoluzionaria del 1789.
Tutte queste storie hanno evitato “il Grande Buio” perché la scrittrice calatina le ha raccolte e ce le ha consegnate intatte e piene di nuova vita mediante una scrittura intensa ed essenziale. Ma questo lavoro non sarebbe stato possibile senza i cronisti di una volta, le cui cronache registravano i fatti memorabili “sottraendone la memoria alle azzeranti generalizzazioni della storia”.
La letteratura è menzogna. Odisseo, il grande mendace, è anche il primo narratore. Fin dall’inizio, quindi, la narrazione ha intessuto illeciti traffici con la bugia. Raccontare allarga la distanza dall’esperienza e la tradisce. La vita reale, dice la Attanasio, “diventando racconto si fa … inevitabilmente falsaria e traditora”. Tuttavia solo nel rischioso paradosso della “finzione” è possibile costringere la verità al disvelamento, salvandola dall’oblio. E poi la vita è più bella, se raccontata. Nel “cerchio magico” del racconto è possibile riprodurre il cuore oscuro e ferino della tenebra senza farsi troppo male, perché il pugnale è “finto”, le lacrime sono di carta, ma le emozioni non sono false. “Dentro le parole non c’è freddo, né carestia, né paura: gli uomini possono soffrire senza dolore, mangiare senza pane, morire senza morte”.
I personaggi di Maria Attanasio sono degli outsider combattenti, sono degli “innocenti trasgressori”, che non accettano la sconfitta, sperimentando ed escogitando con ostinata ingegnosità soluzioni nuove. Di fronte alle avversità non si abbattono, ma vanno fino in fondo nella propria lotta, che è lotta per la vita, ma è anche il desiderio delle “anime salve” di “consegnare alla morte un goccia di splendore e di umanità”, come dice De André.
Maria Attanasio non ama la retorica sicilianista che, come dice Consolo, è sempre stata “l’alibi regressivo e dialettale dei mafiosi, dei baroni e dei poetastri”. Per la Sicilia oleografica e da cartolina, essa non credo nutra alcun interesse o fasulla nostalgia. La bella Sicilia della tradizione antica, forse, non è mai esistita. Dai suoi racconti si delinea un’altra Isola, più densa e meno solare, agitata da lotte e da contrasti sociali. La scrittrice è cosciente di appartenere ad una tradizione letteraria, ma senza acritica nostalgia reazionaria. Uno scrittore è legato alla propria storia, ma anche alla propria geografia, addirittura alla propria topografia e forse, in questo caso, alla propria geologia. Un paese è “ogni concepibile luogo di intimità collettiva” dice Bufalino.
Nella scrittura di Maria Attanasio predomina una contenuta tonalità barocca, che prevede frequenti cambi di registro che vanno dal fiabesco montante di certi incipit narrativi, al lirismo rapido e rapito delle scene sensuali. Siamo di fronte ad un calibrato polilinguismo che non disdegna le incursioni nel lessico storico e l’inserimento di parole dialettali in funzione fortemente coloristica ed espressiva. Nella prosa di Maria Attanasio vi è un uso sapiente e smaliziato della parola, frutto di anni di sperimentale esercizio letterario e poetico.
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