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CHEF, SOCIAL E COMUNICAZIONE: INTERVISTA A UOMO SENZA TONNO

2020-07-01 16:17

Francesca Brancato

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CHEF, SOCIAL E COMUNICAZIONE: INTERVISTA A UOMO SENZA TONNO

Uomo Senza Tonno, all’anagrafe Marco Giarratana, siciliano “con la scorcia” (con la buccia) trapiantato a Milano. L'intervista di notabilis.

Uomo Senza Tonno, all’anagrafe Marco Giarratana, siciliano “con la scorcia” (con la buccia) trapiantato a Milano. “Punk” del food, blogger di cucina, ma non solo, dal 2012, quando dopo aver perso casa e lavoro si reinventa, trovando nella cucina un ripiego, che si trasforma pian piano in professione. Con lui abbiamo parlato di chef, mondo social e food e molto altro, dal suo libro “Romanzo con angolo cottura” (edito Longanesi), ai progetti futuri...

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Cominciamo dall’inizio: come mai ti chiami Uomo Senza Tonno?

 

È un nome che ho scelto in tempi non sospetti nel 2012, quando aprii il blog. All’epoca lavoravo per Groupon come copy e avevo scritto un piccolo testo in cui giocavo col titolo del film “L’uomo senza sonno”. Quando ho aperto il blog mi sono ricordato di quel nome e l’ho usato, fa capire subito che non sono un tipo che si prende troppo sul serio.

 

Da dove nasce la tua passione per il cibo e hai sempre desiderato fare lo chef?

 

No, mai, non è mai stato nei miei piani e non è nei miei piani futuri continuare a farlo per molto tempo. Io sono un comunicatore ed è lì che rendo al meglio, quella del cuoco a domicilio è una fase di transizione nata a ridosso del licenziamento dalla mia vecchia azienda, da modo di arrangiarmi per sfuggire alla disoccupazione è diventata una professione vera e propria, ma è solo una fase della mia vita. Sono sicuro che tra non

molto le cose cambieranno. E in verità ho sempre più amato mangiare che cucinare, sebbene adesso stare ai fornelli sia diventata una cosa imprescindibile che mi fa stare bene.

 

#TonnoInTour e #ScièfaDomicilio, come è cambiato, secondo te, il mondo degli chef e della cucina oggi?

 

Forse si dà troppo peso a ciò che dicono gli chef, che filosofeggiano qua e là. Ma se analizziamo i loro discorsi sono vuoti, usano tante paroline-chiave che non vogliono dire pressoché nulla come “tradizione”,“innovazione”, “emozione”, “convivialità”. Per fare discorsi strutturati e profondi ci vuole anche una certa padronanza del linguaggio nonché una cultura trasversale. Tanti chef hanno trascorso un’intera vita in cucina senza interessarsi molto al mondo esterno, non hanno nulla da dire, sono solo accecati dal successo e dalla smania di apparire. Sicuramente da un lato questa attenzione mediatica ha portato a una maggiore consapevolezza su alcuni prodotti o preparazioni tradizionali ma resta una nicchia. Alla fine la gente guarda gli chef in tv perché gli stanno simpatici o antipatici, non perché vuole imparare qualcosa di utile.

Ci sono altri tuoi colleghi “punk”(come ti definisci tu) nel mondo della cucina o pensi di essere ancora uno dei pochi?

 

Non lo so, non ho tanti contatti coi colleghi, io vivo nella mia bolla, faccio le mie cose, ho le mie attività personali e frequento persone fuori dai giri del food. Ovviamente ci sono ma non saprei dire nulla sulla loro formazione. Di sicuro però c’è che le iscrizioni negli istituti alberghieri e in corsi di cucina stanno aumentando, segno che il martellamento mediatico qualcosa sta producendo ma quando tanti studenti toccheranno con mano la realtà del mondo della ristorazione, che è contrapposto alle favole raccontate nei talent, si pentiranno amaramente di aver gettato tutto quel tempo a studiare.

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Come definiresti la tua cucina e che legami hai con le tue radici siciliane? Possiamo ritrovarle nei tuoi piatti?

 

Non ho etichette per indicare la mia cucina, non seguo trend e non ho chef di riferimento. Piuttosto, avendo girato parecchio in Italia, ogni tappa mi lascia qualcosa, che sia un ingrediente o un piatto, che poi rielaboro secondo il mio stile, per cui ho impiegato 3 anni a definirlo. Essendo siciliano, però, non posso negare che certi sapori che mi hanno svezzato cerchi di riprodurli, ad esempio l’agrodolce. Ma non sono un fondamentalista della tradizione, anzi, certi discorsi “paraocchiuti” mi annoiano molto perché dimostrano la ristrettezza e la miopia culturale di tante persone.

 

Oltre ad essere chef sei anche scrittore e musicista. Vuoi raccontarci anche di questo lato di Uomo Senza Tonno e di come arte, cucina e letteratura convivono in te e nel tuo lavoro?

 

Alla fine sono solo 3 mezzi espressivi diversi in termini di codice ma di base sono legati. Come detto all’inizio, sono un comunicatore, ho solo trovato in musica, cucina e scrittura 3 vie per esprimere le mie idee. Per ora con la musica sono fermo anche perché il mio lavoro porta via tutta l’energia e il tempo che ho a disposizione in una giornata, ma spero presto di rimettermi a suonare e scrivere un nuovo album così come mi piacerebbe molto lavorare a un altro libro. Vedremo come si evolverà la situazione nei prossimi mesi.

 

Oltre ad aver scritto su diverse testate dedicate al mondo food sei autore del libro “Romanzo con angolo cottura”. Ce ne vuoi parlare?

 

È la mia storia, da quando ho perso casa e lavoro nel giro di meno di una settimana, a quando il lavoro da cuoco a domicilio, dapprima semplice ripiego, è diventata una cosa seria. In mezzo c’è molto di me, dal rapporto con la mia famiglia alle mie ansie che ho dovuto affrontare, passando anche per le mie avventure sessuali. La vita è fatta anche di questo.

Tu ti racconti molto anche attraverso i social. Che ruolo hanno questi nel tuo

lavoro e come utilizzi tu questo mezzo comunicativo?

 

I social sono uno strumento meraviglioso e utile ma nel contempo molto pericoloso, dipende dall’uso che se ne fa. Io li ho sempre usati come mezzo per condividere le mie passioni e trasmettere messaggi, anche per dibattere ma sempre con fini utilitaristici. Sono una persona abbastanza risolta, negli anni ho messo a posto tanti miei problemi psicologici e non ho timore a parlarne con il mio pubblico. Se una persona, seppur con un piccolo seguito, si mostra più umana, per quello che veramente è, gli utenti si sentono meno soli. Ma so bene che la maggior parte delle persone che comunicano sui social non capisce che strumento ha tra le mani, fomentando odio e psicosi non rendendosi conto che quando si pubblica un contenuto si sta sparando un colpo con un bazooka che avrà effetti concreti sugli altri. Manca alfabetizzazione digitale e consapevolezza degli effetti che si causano condividendo notizie senza prima verificare, diffondendo i propri timori senza filtri. D’altronde lo diceva il sociologo LeBon a fine ‘800 “i sentimenti umani sono contagiosi e quando le persone si riuniscono - ora nelle piazze virtuali - si suggestionano a vicenda”. Ciò che è una leggenda diventa verità per tanti ed è difficile poi ribaltare il paradigma. Ed è un serissimo problema per la democrazia.

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Dopo aver parlato delle tue “origini”

raccontaci che progetti stai portando avanti in questo momento.

 

Per ora ho diversi lavori in divenire, alcuni
con dei brand importanti, ma allo stato
attuale delle cose non posso dire nulla. È una situazione abbastanza ingarbugliata, per ora.

 

E in futuro? Pensi di continuare a fare lo chef itinerante oppure vedremo a breve aperto un tuo ristorante?

 

Non penso che avrò mai un ristorante, per me sarebbe come lavorare in ufficio, non voglio stare in un posto fisso, impazzirei dopo poco. È più probabile che abbandoni i fornelli per fare altro, magari sempre attinente alla cucina, ma la mia vita privata cambia nel giro di un’email, sono pronto ad affrontare qualunque cambiamento.

 

Un’ultima domanda: qual è il tuo piatto siciliano preferito e del quale non riesci a fare a meno, ma soprattutto come lo cucineresti tu?

 

Su tutti arancine e caponata. Credo che racchiudano al meglio i sapori dell’Isola. La caponata la faccio e la metto in un taco, la sfumo con l’aceto balsamico di Modena e aggiungo del cioccolato fondente al 99%. Sulle arancine non ho un abbinamento standard, essendo il procedimento molto lungo non le cucino spesso, ma da una col riso al nero di seppia e ripiena di nduja ho creato poi un risotto.

 

 

©riproduzione riservata

Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Siracusa. Numero di iscrizione 01/10 del 4 gennaio 2010

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