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TEMPO DI QUARESIMA A MELILLI NEI SECOLI SCORSI

2022-04-13 17:01

Redazione

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TEMPO DI QUARESIMA A MELILLI NEI SECOLI SCORSI

Dice il detto: "Chi non vede il Signore per carnevale non Lo vede nel momento del trapasso dalla vita"

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Memento homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris ("Ricordati uomo, che sei polvere e in polvere ritornerai",  Genesi, 3 - 19).

Con l’imposizione sul capo delle ceneri (ricavate dai rami benedetti la Domenica delle Palme dell’anno precedente) e la contemporanea isata  a tila (alzata della tela, opera del pittore siracusano Michelangelo Politi), dov’è raffigurata la deposizione di Cristo morto dalla croce con i simboli evangelici e su cui sta scritto: Deponentes Jesum involverunt Sindone (Coloro che deposero Gesù, Lo avvolsero nella Sindone) e che restava alzata fino alla messa di Resurrezione, iniziava a Melilli il lungo periodo di Quaresima, tempo di penitenza e digiuno. Il rito de Le Ceneri, dunque, chiudeva la settimana della trasgressione carnevalesca, quando tutto era permesso, e avviava il periodo più importante per i cristiani.

Ma già durante i giorni di carnevale cominciava per i melillesi il tempo della penitenza, in quanto nella chiesa dello Spirito Santo o Santa Lucia dello Spitale veniva celebrato il Quarantore di adorazione con l’esposizione del Santissimo Sacramento. Per l’intera giornata, il suono continuo della campana invitava i melillesi all’adorazione, perché, come recita un vecchio detto popolare: "Ccu nun viri u Signuri ppi cannaluvari, nun Lu viri o trapassari" (Chi non vede il Signore per carnevale non Lo vede nel momento del trapasso dalla vita).

Il mercoledì delle ceneri, dunque, segnava l’inizio del lungo periodo di penitenza che durava quaranta giorni. Questo periodo era caratterizzato da tradizioni popolari, devozionali e penitenziali, che, purtroppo, oggi, sono andate quasi tutte perdute.

Erano soprattutto il digiuno e l’astinenza della carne, ma anche tante altre usanze, come quella della velatura dei crocifissi e dei quadri nelle chiese e degli specchi nelle abitazioni private con drappi viola, a caratterizzare questo periodo.

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A tal proposito, era nella quinta domenica di quaresima o di Lazzaro (che ricordava la risuscitazione di Lazzaro narrata dai vangeli) detta Ruminica do velu (domenica del velo), che la Chiesa invitava i fedeli ad allontanare le vanità terrene dalle famiglie.

Era, però, il digiuno che si praticava tutti i venerdì delle diverse settimane (in ricordo della morte di Cristo) a caratterizzare la peculiarità della quaresima, perchè: "Ccu nun diuna tutti i venniri ri marzu, cci cari lu vrazzu" (Chi non digiuna tutti i venerdì di marzo, gli cade il braccio).

Il digiuno, che veniva praticato da tutti, doveva essere molto rigido ed era a base di alimenti molto poveri di calorie e in porzioni ridottissime. Tanti, però, per continuare il digiuno, ma anche per non appesantire lo stomaco dopo un’intera giornata di digiuno, cenavano con pasti frugali. Oltre al Santu diunu (Santo digiuno), molti fedeli praticavano U trapassu (letteralemnte "il trapasso": digiuno per l’intera giornata senza mangiare), che si concludeva intorno alle ore 15.00, Co rintoccu a mortu de’ campani (con il rintocco a morto delle campane di tutte le chiese).

Purtroppo, però, non tutti riuscivano a digiunare per l’intera giornata, per cui, per non spezzare il digiuno, gli era permesso di poter mangiare qualcosa di leggero, perché, come recitava un vecchio detto: "Npani e ‘ncitrolu nun spezzunu u diunu" (Un pane e un cetriolo non spezzano il digiuno).

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Il lungo periodo quaresimale era caratterizzato, anche, dagli esercizi spirituali, che coinvolgevano gli uomini, le donne, le ragazze e i ragazzi.

Un padre quaresimalista (pagato con contributo comunale e ospitato nella canonica della Chiesa Madre), proveniente da altri centri della Sicilia, era chiamato a predicare gli esercizi spirituali, a cui partecipavano soprattutto le donne e le ragazze, in quanto gli uomini e i ragazzi erano impegnati per l’intera giornata e fino a tarda ora nei lavori agricoli.

Proprio per venire incontro alle esigenze degli uomini e dei ragazzi, gli esercizi spirituali per loro si tenevano di sera tardi, quando ormai tutti erano rientrati dalle campagne. Erano esentati solo i pastori, i bovari ed altre categorie che non potevano rientrare in paese, trovandosi in luoghi lontani, dai quali era impossibile fare ritorno a casa.

Le prediche si tenevano di pomeriggio nella navata laterale sinistra della Chiesa Madre, fiocamente illuminata. Le sedie venivano prenotate e pagate due soldi al sagrista o a un ragazzino povero, incaricato di riscuoterli in cambio di una zolletta di zucchero; chi non aveva sedie perché non poteva permettersi di pagarle era costretto ad ascoltare la predica in piedi.

Una tradizione, ormai definitivamente scomparsa, era quella che tutti i melillesi, ogni venerdì di quaresima, al suono delle campane che rintoccavano a morto dalle ore 13.00 alle 16.00 si recavano nella chiesa rupestre della Madonna delle Grazie a visitare I Iurei dà Razia (I Giudei della Grazia), un gruppo statuario posto sull’altare laterale sinistro della stessa chiesa, raffigurante Cristo alla colonna flagellato da due soldati giudei. Un’usanza particolare era anche quella che ogni ceto sociale, nel periodo quaresimale, si tassava per far celebrare tutti i sabati la santa messa: il primo sabato toccava ai giurati; il secondo ai parrini (sacerdoti); il terzo ai cavallacci (gentiluomini); il quarto ai mastri; il quinto ai massari; il sesto alle femmine  o signure donne. Questo ciclo si concludeva con la Messa detta della Madonna.

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Nel periodo quaresimale, inoltre, si poteva osservare un frate che, con una bisaccia in spalla girava per le vie del paese e bussava alle porte delle singole famiglie benefattrici per raccogliere elemosine per i Luoghi Santi. C’era chi dava denaro per la celebrazione di messe perpetue per i defunti e chi, soprattutto i devoti più poveri, riceveva rosari o crocifissi o la Bolla dei Luoghi Santi, in cambio di una piccola elemosina.

«La Bolla dei Luoghi Santi veniva appesa dalle famiglie dietro la porta d’ingresso per proteggere la casa dalle calamità naturali; molto spesso accanto a questa veniva appeso un ferro di cavallo, perché, secondo la credenza popolare, potessero salvaguardare la famiglia da ogni avversità» (Cfr. P. Magnano, I riti della Pasqua a Melilli).

La Quaresima, nei secoli passati, era anche tempo di censimento della popolazione, infatti venivano censiti tutti i residenti dei singoli quartieri (Quartiero Monastero, Quartiero Matrice, Quartiero Soccorso e Quartiero Torre) per conoscere esattamente il numero dei nuclei familiari i quali, dopo Pasqua, avrebbero ricevuto la visita dei sacerdoti, accompagnati dai chierichetti, impegnati alla benedizione delle singole case.

«La visita del prete, tanto attesa per l’intero anno, molto spesso era ricompensata dalle famiglie con doni in natura, tipici della società contadina. Per cui, il chierichetto in una mano portava il secchiello con l’acqua santa e nell’altra una cesta o una sporta per riporvi caciotte di formaggio, uova e quant’altro veniva offerto dalle famiglie» (Cfr. P. Magnano, cit.).

Il lungo periodo di Quaresima si concludeva la Domenica delle Palme, con la quale si celebrava e, ancora oggi, si celebra l’entrata trionfale di Cristo a Gerusalemme sul dorso di un asinello.

La Domenica delle Palme introduce la Settimana per eccellenza per i cristiani, detta Santa, nella quale vengono celebrati i riti pasquali culminanti nel Venerdì Santo con la commemorazione della Passione e Morte di Cristo in croce: per tanto la Settimana Santa è al centro del calendario liturgico. 

 

 

di Paolo Magnano

©riproduzione riservata 

Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Siracusa. Numero di iscrizione 01/10 del 4 gennaio 2010

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