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LA CAMPAGNA IBLEA NEL TEMPO ESTIVO

2022-02-04 11:50

Redazione

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LA CAMPAGNA IBLEA NEL TEMPO ESTIVO

Per il mondo contadino, la raccolta del grano chiudeva la lunga stagione dell’attesa iniziata con le prime piogge autunnali, in seguito alle quali il

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Per il mondo contadino, la raccolta del grano chiudeva la lunga stagione dell’attesa iniziata con le prime piogge autunnali, in seguito alle quali il contadino si preparava ad arare la terra, resa soffice dalle piogge, creando profondi solchi utili per una buona seminagione. Quindi si procedeva con la semina, che avveniva nei mesi di settembre e ottobre per i terreni montuosi, di novembre e dicembre per quelli pianeggianti.

Conclusa la semina, iniziavano i lunghi mesi di trepidante attesa, in cui i contadini giornalmente scrutavano il cielo e pregavano i Santi, soprattutto i Santi Patroni, perché il raccolto potesse essere abbondante e li ricompensasse delle pesanti fatiche affrontante nel far crescere amorevolmente quella pianticella, che, giorno dopo giorno, diventavano sempre più frumento, alimento principale per la parca mensa della povera famiglia contadina.

Alla fine della raccolta del grano, la vociante e allegra campagna si spopolava, ritornando per alcune settimane nel silenzio, rotto solo dall’insistente frinire delle cicale e dallo zirlare dei grilli. Le tantissime ciurme di uomini e donne ritornavano nei paesi d’origine e le donne alle usuali faccende domestiche. Per cui, i paesi, che si erano svuotati in occasione dei lavori di raccolta del frumento, ritornavano a ripopolarsi.

Questi erano i giorni del ringraziamento e delle feste patronali: in ogni paese si festeggiava solennemente il Santo Patrono, che, in segno di ringraziamento, veniva portato in processione per le vie cittadine e in onore del quale venivano organizzate feste sontuose. In questi mesi estivi, infatti, si festeggiava in quasi tutti i paesi montani degli Iblei (Buscemi, Cassaro, Ferla, Palazzolo, Solarino, ecc.) soprattutto San Sebastiano: lo stesso che a Melilli veniva festeggiato il 4 maggio. A Sortino, invece, il 10 settembre si festeggiava Santa Sofia, la cui celebrazione chiudeva tutte le altre festività patronali estive dei paesi della collina siracusana.

Erano dunque giorni di festa e di allegria per ogni famiglia, non solo contadina, che finalmente aveva messo al sicuro tra le mura domestiche il pane quotidiano. Nel mese di luglio, invece, aveva inizio la raccolta delle mandorle e delle carrube, che si protraeva anche per buona parte del mese di agosto: in questi mesi, infatti, si ritornava in campagna per la raccolta, sotto la calura estiva, di questi due importanti prodotti alimentari.

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Si raccoglieva per tutta la giornata con canti e mottetti in un clima di serena socializzazione (molto spesso, infatti, tante famiglie di vicinato partecipavano “gratuitamente”, rimanendo in campagna fino alla conclusione della raccolta).

Si dormiva spesso in aperta campagna sotto il cielo stellato al riparo do risinu (brina) sotto un paracqua (grande ombrello) aperto che riusciva a dare ricovero a più persone.

Molto spesso, mentre, stanchi del lavoro della faticosa giornata, si dormiva profondamente, si sentiva in lontananza gridare per svegliare tutti gli uomini validi ad affrontare l’avanzare di un fuoco inarrestabile. Per cui si assisteva, nel buio della notte rischiarata dalle alte fiamme che bruciavano l’erba riarsa dal sole, alla mobilitazione frenetica di tutti gli uomini impegnati a creare dei tagliafuoco in modo da impedire l’avanzata delle fiamme (questo ricordo d’infanzia è rimasto indelebile in chi scrive ndr).

Conclusa la raccolta delle mandorle e delle carrube, si ritornava in paese finalmente stanchi ma soddisfatti di quanto fatto.

In questa campagna, resa vuota dalla fine dei lavori, solo i pastori continuavano a portare il gregge al pascolo nelle fresche ore mattutine e pomeridiane: nelle ore più assolate, invece, il gregge veniva riunito all’ombra degli oleandri, vicino alle acque dei placidi fiumi. Il silenzio della campagna veniva rotto dal suono dei campanacci che chiamavano a raccolta, nell’assolata campagna, il gregge disperso alla ricerca di quel pascolo ormai scarseggiante. Per questo, molto spesso, i pastori erano costretti a scugnari (a spostarsi) dalle contrade abituali per raggiungere a chiana ri Catania (la piana di Catania), ricca di ristucce. Settimane di sacrifici e solitudine, lontani dalle famiglie e dal paese, dove ritornavano a dorso di mulo dopo un lungo, lento e interminabile viaggio, che durava anche giorni.

Solo con le piogge settembrine, caratterizzate de riuturi (temporali estivi), per i pastori si chiudeva questa lunga parentesi di duri sacrifici, riportandoli agli affetti familiari. Il caldo estivo, inoltre, rimpolpava i vigneti, che, quando non erano colpiti dal cancro della fillossera, dava altro lavoro a “Villici e artigiani, mulattieri e carrettieri, vecchi e giovinetti e fino ai facchini e fannulloni di piazza” (S. Salamone Marino). Nonostante i rischi che si potevano correre, il contadino siciliano era aduso a lottare e ognuno possedeva il suo pezzetto di terra coltivata a vigna, nonché u parmentu (il palmento), dove i pistaturi (i pigiatori) pestavano l’uva.

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Dopo la festa da Maronna a Catina (Madonna della Catena a Sortino, Madonna dei Peccatori a Melilli) di ferragosto, la campagna tornava a ripopolarsi di nuovo delle ciurme che raggiungevano i vigneti per la raccolta dell’uva.

La vendemmia, infatti, richiedeva l’impiego di molta manodopera, a causa dei tempi molto ristretti fra raccogliere e pigiare l’uva nno parmentu (nel palmento) e trasportare il mosto nelle cantine. Alla raccolta dell’uva, un compito molto importante era assegnato alle donne che “In sottana recidevano i grappoli dai tralci e li mettevano nei grembiali, che tenevan rimboccati: poi, quando i grembiali erano pieni, andavano a svuotarli nei cofani, che erano deposti tra i filari” (S. Crescimanno).

Il tempo della vendemmia era anche tempo di motteggi e scherzi fra quanti (uomini e donne) vivevano per giorni a contatto nella stessa masseria.

“Gli uomini stuzzican le donne, le punzecchiano ferocemente in tutte le guise, sien vecchie o giovani, brutte o belle, maritate o nubili… Sene dicono o ricambiano di cotte e di crude, senza riguardi ad anzianità o gerarchia: ma questo c’è di buono ed è mirabile, che nessuno se ne prende mai ed il più bersagliato e maltrattato è quello che più ride. Non mancano, poi, i pizzicotti, tra i diversi sessi, od urti e toccatine che si suppongono e pretendono accidentali; ma anche questo non conduce che a conseguenze di risate e bajate, specialmente contro le donne attempatelle o bruttine” (S. Salamone Marino).

Conclusa la vendemmia e in attesa di aprire le botti del vino nuovo, la campagna ritornava ad essere il regno dei pastori e dei massari, che continuavano nel loro tradizionale lavoro.

 

 

di Paolo Magnano

©riproduzione riservata

Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Siracusa. Numero di iscrizione 01/10 del 4 gennaio 2010

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