«Hanno ammazzato compare Turiddu!»
«Turiddu chi? Fai presto a dire Turiddu, chiami Turiddu e si volta mezza Scicli»
«U’ pissicologo, quello che venne di Nuova York»
«Buono fecero, quello campava facendosi i fatti degli altri».
Poche battute lapidarie, isolate al centro di una pagina bianca: si apre così Piovono Mandorle (Piemme, 2019), l’ultimo romanzo di Roberta Corradin. Il lettore le ritroverà in una scena centrale del libro; tuttavia, estrapolate dal loro contesto, esse hanno l’effetto immediato di rievocare un altro, ben noto, «compare Turiddu che è stato ammazzato»: mi riferisco al personaggio di Cavalleria Rusticana, la novella scritta da Giovanni Verga e messa in scena da Pietro Mascagni.
È un incipit coraggioso e felice, che ha in nuce uno dei motivi fondamentali del testo: la rappresentazione divertita, lucida e appassionata della sicilianità, in ogni sua espressione sociale e culturale.
Questo aspetto risulta tanto più interessante se si considera che l’autrice non è siciliana; il suo amore per l’Isola, dunque, non è frutto del caso ma di una scelta ben precisa. Originaria di Susa, Roberta Corradin ha vissuto per diversi anni all’estero, prima di trasferirsi nel ragusano dove, oltre a dedicarsi alla scrittura (ha già alle spalle altre pubblicazioni), gestisce un ristorante insieme al marito.
Il cibo, non a caso, è un altro tema centrale del romanzo, a partire dal suo affascinante titolo.
La vicenda è ambientata a Scicli, la suggestiva città barocca resa famosa ‒ nella realtà, così come nella finzione narrativa ‒ dai film del commissario Montalbano. Qui approdano protagonisti del jet set internazionale, tra cui Salvo Diodato, un famoso psicoterapeuta newyorkese tornato in Sicilia, dopo molti anni, per conoscere la verità sul padre e per inseguire la donna che ama. È lui il «Turiddu che hanno ammazzato»; il suo cadavere verrà recuperato proprio mentre si stanno girando alcune scene del commissario Montalbano.
A indagare sul delitto sarà una commissaria “vera”, Maria Gelata, donna schietta e determinata, amante della mitologia e poco incline ai sentimentalismi. Fredda di nome e di fatto, verrebbe da dire. E diciamolo pure, considerato che le parole, in queste pagine dettagliatissime, non sono mai scelte a caso.
L’indagine si rivela complicata perché sono in tanti a essere sospettati: da una parte ci sono le pazienti di Salvo; dall’altra i loschi individui che frequentava per motivi poco chiari.
Articolata in ventisette capitoli, la narrazione è affidata a una lingua curata e composita che accoglie anche termini e costrutti dialettali.
I personaggi ‒ numerosi e quasi sempre inquieti ‒ sono confinati in paragrafi diversi, quasi a esasperarne la solitudine. Capita di leggerne i pensieri, grazie ai frequenti cambi di focalizzazione: il risultato è un romanzo corale e sfaccettato, dalla trama fitta, che necessita di costante attenzione, ma che regala deliziose pause descrittive in cui la sicilianità è trionfo assoluto di bellezza.
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