Narra la tradizione che il 1° maggio 1414 i melillesi furono testimoni di un evento, ritenuto prodigioso, che cambiò radicalmente la devozione verso San Sebastiano non solo nel centro ibleo, ma anche nei paesi vicini, dove il culto verso il Santo bimartire si radicò in modo esponenziale, facendo sì che in tutti i paesi iblei si edificasse una chiesa in suo onore e si venerasse un simulacro con le sue fattezze.
Sempre secondo la tradizione, che si è tramandata per generazioni, negli ultimi giorni del mese di aprile di quell’anno, sugli scogli dell’antico porto Trogilo, oggi Stentino, formato dall’insenatura della penisola Magnisi (allora isola), naufragò una nave proveniente dall’Adriatico.
In quella nave si trovava una cassa racchiudente il simulacro di San Sebastiano, che, dalle onde procellose del mare, venne adagiata sul piccolo porticciolo.
I marinai, scampati al naufragio, cercarono immediatamente di recuperarla. Ma invano! In quanto la cassa divenne sempre più pesante.
Di quello strano evento venne immediatamente informato l’allora vescovo di Siracusa, il benedettino Tommaso De Erbes, che processionalmente si recò sul luogo del naufragio nel tentativo di recuperare la cassa. Ma tutto fu inutile, in quanto fu impossibile recuperarla.
Solo il tentativo messo in atto dal clero e dai fedeli di Melilli ebbe successo, in quanto la cassa inspiegabilmente divenne leggera e fu così possibile trasferirla processionalmente a Melilli. Raggiunta la contrada Carcarella, alla periferia est del centro abitato, dove si trovava una grotta in cui già si venerava un’effige di san Sebastiano, però, la cassa divenne di nuovo pesante e fu, dunque, impossibile rimuoverla.
In quel luogo dai melillesi venne successivamente costruita una chiesa, andata distrutta, poi, a causa del terremoto del 9/11 gennaio 1693, che colpì in modo disastroso tutto il val di Noto.
È una tradizione, che, purtroppo, non è corroborata da documenti d’archivio, in quanto molto probabilmente andarono perduti durante l’occupazione francese della cittadina iblea del 1676, in cui furono bruciati gli archivi parrocchiali.
Nonostante ciò, il culto a San Sebastiano di Melilli è cresciuto nel corso dei secoli, diffondendosi anche nei centri vicini, da dove, ogni anno, tantissimi devoti pellegrini raggiungono il paese ibleo per rendere omaggio al Santu miraculusu.
Fra l’altro, la particolare devozione a questo Santo, espressa in tanti modi e secondo canoni che non hanno l’eguale in Sicilia, ha suscitato nel tempo l’interesse di tanti studiosi di tradizioni popolari (Pitrè, Crescimanno, Guastella, Capuana, ecc.) che l’hanno descritta con dovizie di particolari.
Ad attrarre la loro attenzione è stata soprattutto la fama di Santo miracoloso, che ha valicato gli angusti confini della provincia di Siracusa.
Infatti, è il pellegrinaggio a piedi nudi nel cuor della notte di donne e bambini, nonché di uomini e donne vestiti di bianco con un fazzoletto in testa, una fascia rossa a tracolla e ai fianchi e un mazzo di fiori in mano (tradizionalmente definiti "i nuri"), che chiedono la grazia o ringraziano per averla ottenuta, il momento sicuramente più emozionante che viene vissuto con moltissimo pathos da tutti i presenti.
"L’esigenza di guarigione motiva il pellegrinaggio e si fonda essenzialmente sulla fede nel miracolo, poiché nulla è impossibile al sacro. Il pellegrinaggio, infatti, comporta necessariamente lo spostamento verso il santuario: la distanza e la difficoltà del percorso contribuiscono ad attribuire meriti al pellegrino e ne accrescono le possibilità di ottenere la grazia. Il pellegrinaggio è un percorso rituale, costellato di atti di mortificazione e penitenza, con un graduale avvicinamento alle reliquie o immagini sacre, il cui contatto solamente può assicurare la guarigione o la graziaâ€. (L. Dufour, Arte e Devozione).
Il pellegrinaggio per i devoti è, dunque, restituire il dono ricevuto attraverso il sacrificio del lungo percorso che si compie a piedi scalzi sopportando i tormenti provocati dalle impervietà dei luoghi. Avviene di notte, perché è nella lunga notte oscura che il pellegrino (che convive con le potenze dell’oscurità ) deve restituire il dono della grazia ricevuta o chiederla offrendo i suoi sacrifici.
Questa devozione fu sancita dal papa Sisto V, che con propria bolla papale, il 6 agosto 1586, concesse l’indulgenza di sette anni ed altrettante quarantene a chi, confessato, si fosse recato in pellegrinaggio al Santuario di S. Sebastiano di Melilli il giorno della festa dai primi vespri fino al tramonto del sole.
La bolla papale è la conferma della tradizione che registra, ancora oggi, la presenza di pellegrini fin dalle prime ore della notte, in attesa che, dopo un lungo viaggio di preghiere e di invocazioni, vengano aperte le porte del santuario per sostare in religioso silenzio, meditazione e preghiera davanti al simulacro di san Sebastiano, sciogliere finalmente il voto promesso ed ottenere le indulgenze.
I pellegrini provengono da molti centri del siracusano, ma anche del catanese: Augusta, Canicattini, Cassaro, Ferla, Giarratana, Sortino, Solarino, Palazzolo, Militello, ecc.
Implorano il miracolo, perché San Sebastiano è il Santo taumaturgo che, fin dal primo momento dello spiaggiamento, ha operato la guarigione di un certo Pannisca di Augusta.
Di questo particolare fenomeno ne rimase colpito anche il Capuana, che scrisse: "I pellegrini formavano una catena lunghissima a perdita d’occhio. Piccole carovane composte ora da un’intera famiglia, ora da un gruppo d’amici e di conoscenti, ora da un nodo di persone incontratesi per caso ingombravano la via, alcune procedendo lente a cavallo di muli poderosi, altre fermate lungo i fianchi per riposare le bestie e rifocillarsi. Le strade principali di Melilli erano invase da una folla immensa che in parte andava alla chiesa del santo" (L. Capuana, Di alcuni usi e credenze religiose della Sicilia).
Fra l’altro, il 12 ottobre 1697, a distanza di 283 anni dal trasferimento del simulacro nel paese ibleo, con delibera di decurionato, San Sebastiano venne acclamato all’unanimità ad sonum campanae Patrono principale di Melilli, in sostituzione di San Nicola vescovo, venerato in Chiesa Madre.
Questa importante acclamazione a santo patrono venne confermata successivamente con breve pontificio il 1° novembre 1703. Questi fatti ci permettono di capire perché la festa di San Sebastiano, nel corso dei secoli, abbia raggiunto una così vasta eco in tutta la Sicilia ed ha fatto di Melilli un centro di grande religiosità cristiana.
I festeggiamenti in onore del santo patrono iniziano il 4 maggio anziché il 1° maggio, giorno della traslazione a Melilli del simulacro, in quanto la festa, nel 1893, venne spostata per non creare possibili tumulti, poiché quella data coincideva con la festa del lavoro. Il 3 maggio, di sera, si porta in processione u vrazzolu (braccio d’argento contenente la reliquia) che dalla Chiesa Madre raggiunge la basilica di San Sebastiano. Con questa breve processione ha inizio una lunga notte, nel corso della quale i pellegrini, provenienti da diversi paesi della Sicilia, a piedi scalzi e salmodiando, raggiungono Melilli, stanchi ma felici di aver adempiuto alla promessa e aspettano con ansia l’apertura della chiesa, che avviene puntualmente alle 4 del mattino.
In questa notte, il silenzio è rotto dalle continue preghiere di centinaia di pellegrini che si dirigono verso la meta tanto agognata, nonché da invocazioni verso il Santo al grido di: "Semu vinuti ri tantu luntanu o E cchiamamulu paisanu o E cchi semu muti ca nun lu chiamamu, Primu Diu e Sam Mastianu".  Â
Scriveva il Crescimanno: “Le porte del tempio s’aprono al pubblico sul far dell’alba; già prima di quell’ora la gente si assiepa dietro di esse, impaziente di rivedere il Santo che i preti tengono, durante l’anno, in una impenetrabile stanzuccia. Tra il brusio della folla impaziente si sentono le grida strazianti dei sordomuti venuti ad implorare la grazia della parola, le preghiere ardenti dei ciechi che chiedono la vista“ (S. Crescimanno, La festa di San Sebastiano in Melilli).Â
All’alba poi molti altri pellegrini provenienti da Melilli, ma anche da Sortino, Solarino, Palazzolo, correndo, raggiungono il santuario vestiti di bianco con un nastro rosso trasversale sul petto e nei fianchi, scalzi e con un mazzo di fiori in mano (molto spesso con i bambini sulle spalle, che poi vengono spogliati dei loro vestitini per donarli al santo). Sono "i nuri ri Sam Mastianu", che giunti ai piedi del simulacro offrono il mazzo di fiori in ringraziamento per le grazie ricevute (P. Magnano, Melilli. La chiesa, la piazza, il loggiato di S. Sebastiano).
“Si chiamano nudi – scriveva il Pitrè alla fine dell’ottocento – perché in omaggio al Santo martirizzato ignudo, eran tali; ora però sono coperti di semplici mutande. Avvolto il capo da un fazzoletto di seta, con una fascia ad armacollo e nastri attorno alle braccia e al petto, giovani e adulti di vari paesi della provincia di Siracusa, da Giarratana, da Cassaro, da Augusta, da Lentini, da Sortino, da Canicattini, da Palazzolo, da Militello si avviano di notte verso Melilli. E’ di rito che portino una grande torcia ed un mazzo di fiori in mano; e non camminano, ma corrono, e la lor corsa dura lunghe ore, quante ce ne vogliono per andare dai luoghi di partenza alla città del Santo. Né vanno soli, ma l’uno appresso l’altro, a gruppi di venti, di trenta, anche di cento al grido: Prima Diu e Sam Mastianuâ€Â (G. Pitrè, La festa di S. Sebastiano in Melilli).
Adempiuta la promessa, i pellegrini tornano nei loro paesi di provenienza, stanchi ma soddisfatti di aver finalmente sostato ai piedi del Santo dei miracoli e di averlo ringraziato per le grazie elargite.
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di Paolo Magnano
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