“Giovanna D’Arco”, per la regia e interpretazione di Gaia Aprea, infervora il teatro “Garibaldi” di Avola – direttrice artistica, Tatiana Alescio – nella versione apocrifa della compianta Maria Luisa Spaziani che, pur assolvendo la pulzella d’Orlèans dalla condanna al rogo, la istiga alla morte quale anelito di redenzione. Gaia Aprea, padroneggiando la scena con audacia interpretativa, ha sfidato gli esiti del monologo che a volte degrada nella piattezza e nell’uniformità. Nei panni dell’eroina, nata nel 1.412 in quella Francia infiammata dalla guerra dei Cento anni contro l’Inghilterra, Gaia Aprea celebra non soltanto la riscossa francese contro gli inglesi, il riscatto di tutte le donne a partire da quelle del Medioevo, ma anche il valore del sacrificio sempre più ripudiato anche nella sua accezione generica dal tempo presente. È a Giovanna D’Arco che, in preda alle allucinazioni, divenute vere e proprie visioni, si svela lo stesso Arcangelo per annunciarle la sua imminente partenza, senza volgere lo sguardo indietro. Il futuro re di Francia Carlo VII di Valois l’accoglie a corte e accovacciato al suo cospetto le chiede: «Sei veggente? Hai stimmate di luce?».
«È Dio in persona a guidarmi – risponde fiera la contadina - possiedo l’energia per liberare la Francia». Dopo le prime vittorie che Giovanna D’Arco in sella al suo cavallo e armata di spada portò a segno, la sorte si incrinò dal lato dell’ombra e il sogno dell’inviata di Dio di entrare nella cattedrale di Notre-Dame svanì. La cattura da parte degli inglesi che, accusandola di essere una creatura diabolica, istituirono un processo contro Giovanna D’Arco per magia ed eresia, non scosse il futuro re, timoroso che l’acquisizione di ulteriore potere avrebbe avallato la potenza del popolo. Alla condannata fu concessa l’ostia benedetta, mentre la luce calò sull’ultima notte di solitudine e di pianto: «Quando si guarda la morte in faccia Dio è il vibrare di un’unica stella che colora di messaggi l’anima». Ad ardere, però, è un’altra giovane vita, poiché Maria Luisa Spaziani, nel suo testo basato comunque sul alcuni documenti, contemplò un’altra fine per Giovanna D’Arco: la noia di una vita sospesa tra il mito mancato e il rimpianto di non essere andata incontro al suo destino di morte, «La noia fu un uccello che non sa volare, un occhio che non scorge luce. E invece delle fiamme ipocrite, che l’avrebbero arsa viva come eretica e strega, il fuoco la sciolse in fulgide stelle. Vennero giorni di caldo, soffiava lo scirocco, mentre morivano gli armenti e un malefizio premeva sulle case addormentate». L’addetta alle luci della singolare performance teatrale in cui la carne diventa verbo è stata Aurora Trovatello; la musica onirica dei Pink Floyd evocativa di una mistura fatta di realtà e allucinazioni sono state di Davide Pennavaria. Ricordiamo che lo spettacolo inserito nel cartellone di eventi del Teatro “Garibaldi” ha il patrocinio del Comune di Avola, con in testa il sindaco, Rossana Cannata, e l’assessore allo Spettacolo, Deborah Rossitto.